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Di FRANCESCO ARDINO.
Com'è nata l'idea di questa corposa
ricerca storico-antropologica?
L'idea è maturata circa dieci anni or sono, quando cominciai a
partecipare alle iniziative del Centro di Antropologie e Letterature del
Mediterraneo dell'Università della Calabria diretto dal Prof. Vito Teti.
Cosa significa Koiné?
E' un termine mutuato dall'antico dialetto greco, risale addirittura al
periodo pre-ellenico. Significa mondo, universo, cultura. Pertanto, risulta
adatto per definire le forme di un popolo e/o di una comunità. Mi è stato
suggerito da un mio caro amico, Enzo Bartolo.
Ho notato che i pastori della Vallata
La Verde - che nel libro trova ampio spazio, quasi ad essere elemento guida
della sua ricerca antropologica,- si spostavano, specie quando l'erba era
scarsa, dai luoghi montani verso la pianura. Dove, precisamente?
Anche per pastori della Locride la transumanza era un evento faticoso;
pertanto, quando scarseggiava l'erba, erano costretti a trasferire i loro
greggi presso i verdi pascoli di Marasà e Centocamere, poco lontano da Locri.
Non le distanze percorse dai pastori d'Abruzzo, ma pur sempre uno
sradicamento dai luoghi d'origine.
Nella premessa, lei accenna a
curiosità e pregiudizi inerenti i pastori. Vuole meglio spiegarci di cosa si
tratta?
Sui pastori vigevano tutta una serie di curiosità e racconti popolari a
sfondo magico. Avendo modo di frequentare boschi e luoghi isolati, s'era
affermato tra la gente dei villaggi vicini il convincimento che fossero
depositari di eventi magici. Un albero, una caverna, un dirupo, un cespuglio,
un elemento materiale significavano misteriose alchimie, riti maligni. Da qui
tutto quel repertorio classico di folletti, ninfe, spiriti vari che, per la
gente comune, riguardava la vita dei pastori, la loro natura aspra e selvaggia,
il loro coraggio di vivere isolati e lontani dalle famiglie nei lunghi mesi
invernali della transumanza, dormendo in ricoveri poco confortevoli, inadatti
a ripararli dalle intemperie, specie quando le piogge cadevano
ininterrottamente anche per diversi giorni.
Lei, unitamente al Prof. Teti, nel
libro, sottolinea non poco il ruolo rivestito dai cultori locali. Vuole
spiegarsi meglio?
Negli ultimi anni ho più volte avuto modo di verificare il ruolo per nulla
secondario svolto dai cosiddetti cultori locali, che, senza clamore,
"soffiano" sulla polvere della storia secolare dei nostri luoghi.
Sono dei ricercatori in proprio che lavorano al di fuori dell'ambito
universitario, e, spesso, nella più completa solitudine. In zona, per
fortuna, il loro numero é in aumento. E ciò rappresenta un motivo di
speranza. Quando Corrado Alvaro scrive in "Gente in Aspromonte":
"E' una civiltà che scompare, e su di essa non bisogna piangere, ma
trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie", intende appunto
sollecitare il recupero di quella coscienza storica senza la quale tutti gli
avvenimenti perirebbero nel nulla. Conservare la memoria antropologica di una
comunità - Vito Teti lo spiega molto bene nell'introduzione al libro- vuol
dire scolpire l'uomo nel suo lungo viaggio verso la conoscenza, contribuire
alla conoscenza di una civiltà millenaria che chiede, con diritto, una sua
legittimazione storica.
Ma la pastorizia era realmente
redditizia?
La pastorizia, nonostante tutto, è stata un importante strumento economico per
la crescita delle comunità in cui veniva praticata, rappresentando quasi
sempre una fonte di reddito certa.
Nel libro vi è un lungo capitolo
relativo alla vocazione poetica dei massari e dei pastori della Vallata La
Verde. Di cosa si tratta?
E' vero, la Vallata La Verde presenta significative peculiarità:. Un discreto
numero di massari e pastori è cattolico praticante, e, cosa non certo
secondaria, compone, pur se analfabeta, versi dialettali di notevole tensione
lirica. Ho rintracciato quattro pastori/poeti e quattro contadini/poeti, tra
cui una donna.
Per finire, cosa ha inteso affermare
con la sua ricerca storico-antropologica?
Non ho di certo inteso proporre improbabili ritorni a saperi ormai estinti.
Ho cercato, invece, di rileggerli per inserirli in nuove forme di saperi
locali che non taglino i ponti col passato. Oggi dobbiamo amaramente
registrare che quanti tentano di valorizzare le ricchezze e la bellezza della
nostra regione non sempre ottengono risposte/proposte concrete presso i nuovi
ceti sociali e politici.
(Da La Riviera del 14/03/2010) »
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