martedì 5 ottobre 2010

CORRADO ALVARO (S. LUCA 1895- ROMA 1956)

Fu una piccola scossa di terremoto, che si sentì in un solo paese, un paese povero e quindi trascurabile. I giornali ne parlarono in tre righe, e non riferiscono che Procopio aveva perduto sotto le rovine della sua casa lo stipo che era il solo mobile da lui posseduto fin dal giorno delle nozze.

C. Alvaro, Piedi nudi, in  Il  meglio dei racconti di Corrado Alvaro, oscar Mondadori, Cles, 1990, pag.69)

E’ vero che le cose presenti non ci interessano più, ma i pensieri, gli affetti, i dolori di ieri, vengono avanti nella memoria come violenze e ingiustizie…brucio tutto ancora come le pietre che buttano nella notte le vampe del giorno estivo.


C. Alvaro, Piedi nudi, in  Il  meglio dei racconti di Corrado Alvaro, oscar Mondadori, Cles, 1990, pag.81)

Quando si è ragazzi siamo abituati a considerare il mondo dei grandi come qualcosa di preesistente, e non immaginiamo nella sposa di oggi la ragazza di ieri. Tutto il mondo sembra già fatto e fermo. Più grandi vediamo le nostre compagne, le nostre amiche, le amiche di casa, partire per quel viaggio che è il matrimonio in cui tutto muta e si allontana, in cui si assiste ad una vera propria trasmutazione della personalità: la fanciulla diventa signora, i nostri amici diventano uomini, e quasi per una decisione subitanea, per un fatto della natura, per una nuova nascita, i vincoli di ieri si spezzano, si abbandona con gli amici della giovinezza e la giovinezza.

C. Alvaro, Piedi nudi, in  Il  meglio dei racconti di Corrado Alvaro, oscar Mondadori, Cles, 1990, pag.109)

Tutte le rovine familiari e individuali della Calabria dipendono dallo sganciamento della vita familiare e da questa struttura, essendo d’altra parte i calabresi eccessivi per natura e capaci delle passioni più sfrenate, strano in un popolo di virtù tante primitive.

C. Alvaro, Itinerario Italiano, Bompiani, Varese 1967, pag. 228.
Sono tornato in Calabria dopo molti anni, e ho riveduto queste eterne cose. Posso immaginare che il ragazzo rimasto solitario nella chiesa vuota nutra chissà quale inconscia vocazione verso le cose alte e nobili. Così sono maturati fra noi i migliori uomini. Ho riveduto le ragazze nuove di quest’anno, sedute sulla soglia della porta; accanto ad esse è la madre nera cosparsa di rughe che registrano sul suo viso i dolori sofferti, le parole dette, le preghiere mormorate; tutta la mobilità meridionale è fissata in queste rughe come i moti della terra sull’intrico di linee di sismografi.

C. Alvaro, Itinerario Italiano, Bompiani, Varese 1967, pag. 229

E’ un paese questo dove la dignità, la non servilità, la personalità, la libertà interiore, sono le molle dell’esistenza.

C. Alvaro, Itinerario Italiano, Bompiani, Varese 1967, pag. 228

Per questi due mesi l’anno, (in primavera) la terra più severa  e più scabra che sia in Italia sorride. E’ il tempo che bisogna visitarla, varia, orientale e boreale, mediterranea e interna. L’aria è trasparente e sonora, trasmette a distanze enormi i rumori e i suoni; chi parla è come se mettesse inavvertitamente la mano sul tasto pronto di un organo, perciò tutto è popolato, sotto il cielo di cristallo che prolunga la sera indefinitamente in una chiarità di altri mondi lontani nel firmamento, di suoni e di voci, si scampanii di pecore, di richiami e di canti, e di tutto un esclamare vago e diffuso, in un’eterna felicità di voci umane.

C. Alvaro, Itinerario Italiano, Bompiani, Varese 1967, pag. 230

Si stendeva infinitamente quella sponda greca che da Crotone si prolunga fino al Capo Spartivento, col suo colore di terra antica fra i colli digradati dal  balzo abissale dei monti, le crete aride, le fioriture enormi di certi poggi, le rocche medievali gli sproni dei monti, le torri dirute, i castelli abbandonati, i paesi disertati sui colli franosi, con la  luce che si affaccia alle finestre vuote dai tetti sprofondati.

C. Alvaro, Itinerario Italiano, Bompiani, Varese 1967, pag. 231

Quale sia la tradizione dei calabresi è difficile dirlo. Un tema divenuto chiarissimo e dominante di questa regione povera di grandi memorie archeologiche perdute in cento flagelli naturali, è la natura che prende atteggiamenti d’architettura, l’opera dell’uomo che fa un tutt’uno con essa; quello che, attraverso terremoti, alluvioni, franamenti, ha resistito, natura, roccia, pietra, albero, uomo.

C. Alvaro, Itinerario Italiano, Bompiani, Varese 1967, pag. 222




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