Il presente saggio, realizzato nell’ambito dei programmi europei PETRA e ERASMUS, a cura, presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione- Università di Bologna- del Prof. Nicola Cuomo (“L’emozione di conoscere”, 2-4 settembre 1991), è stato pubblicato su “Aschesis” n. 6/9-settembre-dicembre 1991. In questa sede, è stato riveduto ed integrato in alcune sue parti.
Sin dall’antichità ogni manifestazione che non rientrava nell’alveo degli schemi culturali del sistema sociale era considerata un evento <<fuorinorma>> da esorcizzare in nome di principi religiosi o, anche, di criteri politico-religiosi. (1)
Gli
spartani – a esempio- praticavano nei confronti dei bambini affetti da
malformazioni, una sorta di giudizio di <<utilità>> per cui
ritenevano giusto sopprimerli. (2)
La
relazione tra gli uomini e il Potere politico-religioso era dunque fuorviata
dal pregiudizio, dalla totale ignoranza dei motivi che stavano alla base dei
comportamenti degli <<invasati>>, nonché degli individui oggi
meglio conosciuti come portatori di handicaps.
Anche
i secoli rinascimentali conobbero, non meno che in passato, forme più o meno aberranti
di pregiudizio. (3)
Conseguentemente,
anche nel sec.XVI° ed oltre, assistiamo al dilagarsi di un’ira persecutoria al
punto che fra’ Girolamo Manghi da Viadana, Minore osservante (1529-1609),
pubblica il <<Compendio dell’arte esorcistica>>, Bologna 1576. (4)
Pochi
anni prima, invece, (1560) <<usciva per opera dello stampatore veneziano
Lodovico Avanzi, che la pubblicava assieme alla magia Naturale di Giovan
Battista della Porta, la traduzione italiana de “Occulta naturae Miracula” del
medico zelandese Lievin Lemmes. Il capitolo VIII° era dedicato ai “parti
mostruosi”, e, “nella copia dell’opera ora posseduta dalla biblioteca
Universitaria di Bologna, accanto al titolo, una mano del XVI° sec. vergava
l’avvenimento per li maritati pazzi e sporchi”>>. (5)
Inoltre, e qui i fatti diventano veracemente inquietanti, l’idea della <<terribilità>> della nascita era all’origine della tacita ma diffusa abitudine, anche in questo periodo, << di uccidere subito dopo il parto la creatura deforme che non fosse morta spontaneamente>>. (6)
Ma,
come se ciò non bastasse, <<il mostro che sfuggiva al duplice rischio del
trauma del parto e del terrore ed orrore degli astanti non sfuggiva al destino
alternativo di essere mostrato per denaro dai genitori>>. (7)
E,
cosa ancor più insospettabile, la soppressione talora coinvolgeva anche la
madre, che, alle volte, veniva <<bruciata viva insieme al figlio, come
accadde nel 1543 ad Avignone, alla fine del secolo a Messina, nel 1618 a
Basilea>>. (8) Nei secoli dopo i pregiudizi permangono vivi, anche se non
così crudelmente come in passato, ma il ruolo (subalterno) della donna non
muta; essa, infatti di fronte alle istituzioni è <<in una duplice
assimetria di potere: preti, notai, inquisitori, medici non solo detengono le
regole delle relazioni sociali, ma anche quelle delle loro identità>> (9).
Difatti,
specie nei secoli XVIII° e XIX°, <<si cerca di colpire la sessualità
femminile con un controllo morale fondato sulla paura del contatto,
l’isolamento morale come strumento d’esclusione… ed il parto è un momento
decisivo, se non si trovasse il modo di ribadire il controllo, l’oscura forza
del ventre materno potrebbe contaminare la discendenza e generare mostri. (10)
Tale
atteggiamento non cessa d’essere minaccioso e violento neanche con la nascita
della medicina moderna (sec. XIX°), tanto che nel linguaggio popolare
permangono frasi come: << E’ stregata>>. << E’ un
diavolo>>, anche nei confronti di quei ragazzi che presentavano solo
un’innocente vivacità caratteriale, un’ostinazione meno misurata degli altri.
(11)
Nell’Ottocento,
infatti, << ci si preoccupava di individuare i segni esterni di
un’eredità diabolica: le sopracciglia aggrottate, lo sguardo sinistro, il viso
irregolare e l’orecchio malformato>>. (12)
Ad
avvalorare tali superstizioni contribuì lo scienziato Cesare Lombroso che nel
saggio << L’uomo delinquente>> teorizzò le basi dell’Antropologia
Criminale in Italia, sostenendo << che il delinquente non è fatto come
gli altri uomini. Egli reca nei suoi tratti esteriori, fisici nei più intimi
recessi della sua malvagità una sorta di stimmate del male che costituiscono il
residuo di una lontana barbarie>>. (13)
Anche
a causa di tale presupposto <<scientifico>>, il brigante Musolino
(<<Il re dell’Aspromonte>>), nel corso del suo ultimo processo
(1902), che lo vide condannato all’ergastolo per avere ucciso sette persone,
<<divenne così oggetto della curiosità di scienziati che pretendevano di
trovare nella sua conformazione fisica e nella sua struttura mentale la
conferma di alcune rivoluzionarie tesi dell’antropologia criminale>>.
(14)
Il
nostro secolo ha anch’esso vissuto (vive tuttora) parte di tale atmosfera
negativa di ispirazione medievale (<<il fantastico mostruoso>>).
(15)
Anche
i giornali di una certa levatura continuano ad alimentare il seme del
pregiudizio. Difatti, come ben sottolinea Bianca Stancanelli, c’è ancora chi
scrive <<morto alto 130 cm>>, <<è il nano di Termini>>,
<<il giallo del nano>>, e così via. (16)
Evento
negativo,questo, denunciato sulle colonne de <<Il Messaggero>>
dallo scrittore Vincenzo Cerami, che parla di una diffusa ipocrisia sociale
verso i portatori di handicaps, nei confronti dei quali <<il disprezzo è
autorizzato>>. (17)
Ma
in che modo la letteratura <<contemporanea>> ha affrontato il tema
dei malformati, dei gobbi, dei ciechi, degli zoppi ect.?
Analizzeremo
le opere di alcuni scrittori, sapendo di tralasciarne qualcun altro. Ci preme
fornire qualche esempio, infatti.
Un
<<classico>> italiano è il romanzo di Francesco Mastriani
<<La cieca di Sorrento>>, che conobbe una diffusione
impressionante, particolarmente nel Mezzogiorno. (18) E’ la storia di Gaetano,
calabrese, povero in canna, e Beatrice, cieca, figlia di un marchese. (19)
Un
amore, il loro, conclusosi in modo tragico. Mastriani, però, non pone
l’handicap al centro del fallimento sentimentale. Gaetano, infatti, nonostante
la deformità del corpo, diventa, quasi come riscatto, un medico affermato.
Beatrice, invece, simboleggia l’isolata dolcezza di chi ha accettato, per
amore, la <<diversità>>.
L’intelligenza
di Mastriani sta nel mostrare l’amore dei due giovani bloccato per motivi
esterni alla loro vicenda, affidando a Gaetano il ruolo finale di chi ha
saputo, dopo la morte improvvisa di Beatrice, <<rinascere a nuova
vita>>, ed ottenere il perdono per un grave delitto commesso anni prima
da suo padre. Una storia, questa che si inserisce nel suolo catartico del
romanzo d’appendice. (20) Da un romanziere popolare ad uno di tutt’altra
dimensione: H. Melville (1818-1891).
La
sua opera più famosa è << Moby Dick >>, storia di una balena bianca,
simbolo del male, inseguita per tutti i mari dal capitano Achab ( o Ahab), al
quale manca una gamba, e ciò lo rende quasi una presenza dai demoniaci
contorni. La sua nuova gamba d’avorio pare una sfida ai venti della tempesta,
alle avversità delle lunghe giornate di caccia. Ma ecco <<Moby
Dick,>> la balena bianca, anch’essa <<diversa>>, unica nel
suo genere. L’handicap del capitano Achab, come pure la peculiarità di Moby
Dick, vengono da Melville elevati a mito.
La
gamba malata, infatti, a leggere con attenzione la parte finale del romanzo,
non è altro che la colpa di tutto il genere umano, e che, maggiormente, trova
conferma nei pensieri di Achab, nella sua <<certezza>> che
<<tutto il tormento dell’allora presente sofferenza fosse lo sblocco diretto
di un precedente dolore; e gli era sin troppo chiaramente parso di vedere che,
come pure il rettile più velenoso della palude perpetua la sua specie con la
stessa ineluttabilità del più dolce uccello canterino del boschetto, così,
imparzialmente con ogni felicità, tutti i tristi eventi generano naturalmente
il loro simile>>. (21) In questo frangente, la letteratura di Melville
raggiunge vette elevate, delinea lo spazio della nave come un eterno
palcoscenico dove si celebrano le forme del mito, le sue ancestrali origini.
Achab, infatti, pensava che
<<mentre persino nelle più sublimi felicità terrene si cela sempre una
certa insignificante meschinità, ma in fondo ad ogni dolore del cuore è latente
un significato mistico e, in alcuni uomini, una grandiosità angelica, così il
loro diligente rintracciamento non smentisce l’ovvia deduzione… l’incancellabile,
triste marchio della nascita sulla fronte dell’uomo>>, ovvero il dolore
ereditato dagli dei. (22)
La
grandezza di Melville, oltre naturalmente al suo stile superbo, sta nell’aver
inserito l’handicap nella coralità degli eventi narrati.
L’espiazione
del capitano Achab, infatti è la condizione di solitudine in cui (con o senza
handicap) versa tutto il genere umano. (23)
<<In
uomini e topi>> di J. Steinbeck (1902-1968), tra i più importanti scrittori
americani, viene, tra l’altro, narrata una particolare forma di delitto. Gorge,
l’adulto che conosce gli inganni della vita, uccide Lennie, suo giovane amico
affetto da <<ritardo mentale>> per evitargli ulteriori umiliazioni
e conflitti. Un dramma dove il microcosmo inventato da Steinbeck trasuda di
simboli universali profondi.
<<L’onesta
animalità>> (24) di Lennie, e l’intelligenza dolorosa di Gorge,
simboleggiano il sogno della libertà perduta, forse. (25) Gorge, e ciò è mera
allegria, uccidendo l’amico sofferente riafferma allo stesso tempo il valore di
un’esistenza lontana dal linciaggio fisico e morale perpetrato dalle dure leggi
degli uomini. (26)
L’handicap
di Gorge, infatti, finisce d’essere la miseria del mondo, diventando
<<elemento analizzatore>> di un’umanità sempre più
<<spossessata e umiliata>>, che proprio nell’handicap vorrebbe
trovare il capro espiatorio dei << suoi>> mali.
Una
fetta di umanità ansimante si agita anch’essa nel racconto breve di Pirandello,
<<Ciarla scopre la luna>>. Ciarla è un ragazzo siciliano che lavora
insieme agli adulti in una solfatara, fianco a fianco a Zi Scarda,
<<cieco da un occhio per lo scoppio di una mina>>. (27)
Zi’
Scarda, ormai assuefatto alla fatica animale della miniera, vive rassegnato al
suo destino. Nel ventre della miniera è sempre notte, come nel cuore e negli
occhi di Zi’ Scarda, ma Ciarla trova ugualmente la via ( la spelonca di
Platone?) per scoprire il fascino ancestrale della luna, la sua magica luce
notturna.
Vi
è poi la passione patriottica di E. De Amicis, che, nel racconto <<Il
mutilato>>, narra di un <<amor di Patria>> quantomai
retorico, intriso di una atmosfera moraleggiante, di dubbia efficacia
pedagogica, anche in considerazione dell’eccessiva vena stoica (masochistica?)
che anima il protagonista. (28)
Un
romanzo, poi, che solo apparentemente narra di un’avventura per ragazzi:
<<L’isola del tesoro>> di R. L. Stevenson (1850-1884), dove la
figura più centrata,assieme al giovane protagonista Jim, è quella di Silver, il
cuoco dell’Hispaniola, archetipo del filibustiere privo di scrupoli. Egli è un
<<pirata come si deve, capace dei più orribili delitti, ma capace anche
di mantenere la parola data…>>. (29) Sono in tanti ad avere delle riserve
pedagogiche su quest’opera giudicata di un realismo fin troppo aggressivo. (30)
Stevenson, anche se da un’angolazione meno introspettiva di quella di
Dostoevskij e di Conrad, affronta il tema della <<doppiezza
umana>>. (31) Appare eccessivo, però, l’utilizzo della gamba mozza del
capociurma Silver.
L’handicap,
infatti, è fin troppo necessario agli scopi del romanzo, al punto che senza la
gamba mozza, il fascino maligno di Silver scadrebbe di tono, e i suoi occhi
luccicanti di furbizia non avrebbero alcun senso sul grande palcoscenico marino
dei pirati. Ciò appare ancora più strano se si pensa ad un’altra opera di
Stevenson, <<Giardino di versi>>, che segna il ritorno dell’autore
alla poesia dell’infanzia. (32)
Resta
da chiedersi, quindi, perché la doppiezza umana deve essere per forza
rappresentata da Silver, pirata con una gamba mozza, e non da un qualsiasi
personaggio. Rimane il fatto che, con o senza intenzione, il grande scrittore
inglese ha anch’esso contribuito all’affermazione di un grave pregiudizio:
handicap = furia omicida.
Altri
toni o altri intenti lievitano nel romanzo di V. Ugo <<Notre-Dame e
Paris>> (1831), che narra di una creatura bellissima, Esmeralda, contesa
dal campanaro di Notre-Dame, Quasimodo, gobbo e deforme anche in viso, e
dell’arcidiacono Frollo. Quest’ultimo, per gelosia, uccide l’amante di
Esmeralda, un giovane capitano, facendo ricadere la colpa sull’ignaro
Quasimodo. (33)
Hugo,
anche in questo romanzo, come per i <<Miserabili>>, denuncia le
ipocrisie dell’animo umano, che, in una sorta di giudizio manicheo, addossa al
campanaro (il mostro) l’effige del male, contrapponendolo alla bellezza
superba, ma non altera, di Esmeralda (la tentazione demoniaca). L’arcidiacono
Frollo rappresenta i principi religiosi corrotti, l’incapacità di accettare i
sentimenti degli altri, forse meno probi ai doveri cristiani, ma senz’altro
provvisti di quella pietas che, Frollo, sembra riacquistare solo dopo la morte-espiazione
sul patibolo di una Parigi bardata a festa.
L’handicap
di Quasimodo, mentre è visto da Esmeralda come simbolo morale capace di
scuotere la coscienza degli uomini, è invece demonizzato dalle istituzioni (dal
clero), che inizialmente, contrappongono la deformità alla bellezza, per poi
unirli nel giudizio finale: il male si cela nella deformità come nella bellezza
maligna. L’impegno di Hugo, infatti, è quello di coniugare la morale con
l’estetica, la pietà con la cultura.
Un’altra
opera che narra dell’handicap come capro espiatorio è <<L’idiota>>
di F. Dostoevskij. Il principe Myskim, un epilettico, ritorna in Russia da una
clinica Svizzera dove un famoso psichiatra l’ha curato da gravissimi disturbi
mentali. (34)
L’amicizia
con un giovane aristocratico, Rogozin, modificherà la sua vita al punto che,
alla fine ripiomberà nella più totale idiozia e, cosa non meno grave, quasi
correo di un delitto commesso da Rogozin in un eccesso di gelosia. Dostoevskij
(anch’esso sofferente di epilessia) narra con estrema coerenza di un grave
stereotipo culturale: da alcune malattie non si guarisce mai. Ed è proprio
sulla scia di questo bieco luogo comune che il principe Myskin sarà risucchiato
dal fondo ventre dell’idiozia. (35)
Di
altro taglio è l’opera teatrale <<Figli di un Dio Minore>> del
drammaturgo americano M. Medoff. (36) E’ la storia d’amore tra James (insegnante
in istituto per sordomuti) e Sarah, sua affascinante allieva sorda dalla
nascita.
Nonostante
il mondi di Sarah sia dominato dal linguaggio dei gesti e da lunghi silenzi,
James riesce a insegnarle molte cose. Una cosa Sarah non gli permetterà mai di
insegnarle: parlare. Se ciò avvenisse, Sarah verrebbe catapultata in un mondo
non ancora pronta a capire (accettare) il senso del suo essere, dei suoi
silenzi. (37)
Anche
<<i segni sono un linguaggio completo>> afferma il neurologo
americano O. Sacks, ma, evidentemente solo uno sguardo partecipe e
appassionato, del tutto privo di pregiudizi, è in grado di penetrare nei moti
di tale realtà interiore. (38) James è uno di questi: egli comprende che nella mente della sua donna si cela una
ricchezza spirituale inesplorata, in grado di gettare nuova luce sulla mente
hmana. (39) Una <<luce>>, questa, non necessariamente
<<figlia di un Dio Minore>>. (40)
NOTE
1. C.H. DELACATO. Alla scoperta del bambino artistico,
Ed. A. Armando, Roma 1979. p.41, in N. CUOMO, Handicaps <<gravi>> a
scuola (Interroghiamo l’esperienza). Cappelli Ed., Bologna, 1984, p.93.
2. <<Sempre secondo la tradizione i bambini che,
per malformazioni o gravi difetti fisici, non erano giustificati idonei alla
futura vita militare venivano esposti sul Taigeto per ordine della genusia; gli
altri venivano sottoposti ad una rigida educazione atta a sviluppare il
coraggio e l’abilità…>>, in ENCICLOPEDIA EUROPEA, Vol. 10. Garzanti Ed.
Milano, 1980, p.805.
3. <<…e la stessa demologia cristiana ammise la
fascinazione come effetto di un patto tacito o espresso col demonio, come
stanno a provare soprattutto le teorizzazioni della famosa bolla di Innocenzo
VIII “Sumis desiderantes affectibus”, del “malleus Maleficarum” e in genere la
sterminata demologia che si lega alla sanguinosa persecuzione contro le streghe
durante i secoli decimosesto e decimosettimo>>. (E. DE. MARTINO, Sud e
magia, Ed. Feltrinelli, Milano,1980, p. 82). Da tenere presente, inoltre, che
<<Di quanto vasto ed irresistibile fosse il rapimento religioso, può far
testimonianza quella strana crociata di bambini che, qualche anno prima della
morte di Innocenzo III (1213), mosse dalla Francia sud-orientale, e perfino da
alcune contrade tedesche. Un pastorello prese a dire che gli spiriti celesti
gli avevano rivelato che solo gli innocenti e i fanciulli avrebbero potuto
liberare il Santo Sepolcro. Ragazzi e ragazze tra gli otto e i sedici anni
lasciarono i loro villaggi e si diressero in massa verso il mare. Molti di essi
perirono uccisi dalla fatica e dagli stenti. Molti altri furono preda di avidi
mercanti che allettarono a sé i fanciulli, per poi farne commercio>>. (F. SCHLOESSER.
Storia universale. In J. ANDRZEJWSKI. Le porte del paradiso, Sellerio Ed.1988.
p.9.
4. G.MENGHI. Compendio dell’arte essorcistica (anastatica
del 1576). Nuova Stile Regina-E.C.I.G.. Genova 1990, in <<Il Sole 24
Ore>>, 10 febbraio 1991,p,25. a cura di Ermanno Peccagnini.
5. O. NICCOLI, Menstruum Quasi Monstruum; parti mostruosi
e tabù mestruali nel ‘500. in <<Quaderni Storici>>.n.44, Il Mulino
Ed..Ancona-Roma, 1980,pp. 402-405.
6. O. Piccoli. Op. cit., p.404.
7. IBIDEM, p.405.
8. IBIDEM, p.405.
9. L.ACCATI, Introduzione a <<Quaderni
Storici>>, op. cit. p.338.
10.
L. ACCATI, op.
cit.p.343.
11.
<< Nel caso
dei bambini si può estendere l’osservazione di Foucault sulle parole del folle:
“Dal profondo del Medioevo il folle è colui il cui discorso non può circolare
come quello degli altri; capita che la sua parola sia considerata come nulla e
senza effetto, non avendo né verità né importanza”>>. (M. FOUCAULT.
Storia della follia. Milano, Rizzoli, 1963. in J. ANDREJWSKI, op. cit. (nota
retrocopertina).
12.
C.M. FLEMING.
Analisi psicologica dell’insegnante, La Nuova Italia Ed.. Firenze-Bologna,
1972. p.137.
13.
E. MACRI’, Musolino
(Il brigante dell’Aspromonte), Camunia Ed. Milano, 1989, p.196
14.
E. MACRI’, op.
cit. p.196
15.
<<Nello
scongiuro per l’ingorgo mammario… l’esemplarità metastorica nasce da un nano
deforme che in “illo tempore” fece e disfece l’ingorgo, provocando nelle donne
per vendicarsi dalla loro derisione, e quindi annullando il malefizio dopo aver
ricevuto le loro scuse>>.
(E. DE MARTINO. op. cit. p789.
16.
B. STANCANELLI, Un nano? Deve essere cattivo,
<<Panorama>>, 20 Maggio 1990. Mondatori Ed. Segrate (MI), p.79
17.
<<Un mostro
(il nano) che non crea scrupoli di coscienza: verso di lui il disprezzo è
autorizzato. E si può pure sottolineare con compiacenza che è un nano, per
giunta con l’aria di suggerire che la sua minorazione fisica sia una
conseguenza della sua crudeltà: è un uomo talmente cattivo che è un nano…
cronache commenti su queste vicende riecheggiano un clima anni Cinquanta. In
contraddizione con la sospetta democraticità di quest’epoca che, in
sovrabbondanza di eufemismi, definisce i ciechi “ non vedenti” e i sordi “non
udenti” e predica attenzione per gli handicappati, rispetto le diversità, ecco
scattare una reazione primitiva contro il “nano”. Come se questo fatto avesse
mostrato la fragilità di una cultura apparentemente adulta nella quale
sopravvive qualcosa di barbaro>>, in B. STANCANELLI. op. cit. pp. 79-80
18.
F. MASTRIANI, La cieca di Sorrento, Ed. Paoline, Vicenza.
1959
19.
<<L’esistenza
dei ciechi non ha nulla in comune con quella degli altri uomini; i rapporti
esterni, i bisogni, i sentimenti sono diversissimi, e tutto prende diverse
proporzioni nel loro animo; la mancanza di senso fisico di tanta importanza
nella formazione delle idee sviluppa sommamente la sensibilità di questi esseri
ridotti in stato d’inferiorità e di soggezione…>>, in F. MASTRIANI op.
cit. p.107
20.
<< Allo
smorto chiarore della candela si distingue il suo volto bruno, magro, incavato
e brutto. Egli ha il capo coperto di capelli rossi ma duri e ricci; il labbro
inferiore sporge in fuori carnuto, e tocca quasi la punta di un grosso naso
aquilino…I suoi occhi sono un po’ strabici, sono tuttavia pieni di vivacità ed
espressamente mobili sotto una fronte larga e spianata, in mezzo alla quale una
ruga profonda apre un solco, come una ferita o come la traccia d’una
maledizione onde Iddio l’ha fulminata. Nel complesso delle sembianze di
quest’essere umano si legge a prima vista l’odio che egli deve concepire per
ogni bellezza, e quell’irascibilità di carattere, naturale nei deformi; ma
studiando meglio i suoi lineamenti, si rimane colpiti dalla espressione di
profonda sagacità a cui sono improntati, e da quella solenne maestà di cui si
riveste il volto di quegli uomini che fanno della scienza la loro consueta
occupazione>>., in F. MASTRIANI, op. cit., p.10
21.
H. MELVILLE, Moby Dick, Vol. II°, Ist. Georgr. De Agostini, Novara, 1987, p.492
22.
H. MELVILLE, op.
cit., p. 493
23.
“Ma il mio arcaico
è sempre collegato al <<sacrificio>>, cioè all’atto con quale
l’uomo si conquista il favore degli dei e delle forze supreme, che secondo la
rivelazione del mito, regnano nell’universo”. (E. SEVERINO), La filosofia
antica, CDE, Farigliano (CN), 1987, p.17
24.
C. GORLIER, G.
STEINBECK, in Uomini e topi di G. STEINBECK, Bompiani Ed., 1986, Milano, p.119
25.
A tale proposito,
risulta illuminante il saggio di E. Froom <<Fuga dalloa Libertà>>,
Milano Comunità Ed., 1970, dove il filosofo di <<Avere o essere>> e
de <<L’arte d’amare>> afferma
che la libertà che investito l’uomo del XX° sec. è capace di <<un
conformismo da automi>>, di ancestrali meccanismi di
<<fuga>>.
26.
<<Davvero,
è come un ragazzo. E non farebbe nessun male, proprio come un ragazzo, se non
fosse così forte…>> (G. STEINBECK, op. cit.,p.48
27.
L. Pirandello, Ciarla scopre la luna, Ed. Mondatori,
Milano, 1967, p.107
28.
<< E un
giorno venne un generale vecchio, con il petto tutto coperto di medaglie, e
tanti ufficiali dietro, e si avvicinò al mio letto con il berretto in mano e
anche tutti gli altri avevano il capo scoperto, egli, il generale mi domandò
come stavo, e dove ero stato ferito e in che modo, e quando gli ebbi raccontato
tutto, mi par ancor di vederlo, alzò gli occhi al cielo, poi strinse le labbra
con sospiro e disse: -Fatti coraggio figliuolo e poi mi strinse la mano,
capisci, lui che era un generale…>> (E. DE AMICIS), Cuore, coraggio e
sentimento (a cura di A. Bruno), Ed. Le Monnier, Firenze 1969, p. 173
29.
A. CIBALDI, storia della letteratura per
l’infanzia e l’adolescenza, Ed. L a Scuola, Brescia, 1967, p. 315
30.
<<Silver,
agile come una scimmia, anche senza una gamba e senza la gruccia gli dà addosso
in un baleno e per due volte affondò il coltello fino al manico in quel corpo
indifeso; dal nascondiglio potevo udire il respiro affannoso mentre vibrava i
colpi… Quando rinvenni il mostro s’era ricomposto, la gruccia sotto l’ascella,
il cappello in testa; Tom giaceva immobile sull’erba di fronte a lui.
L’assassino non se ne curava affatto, ma ripuliva il coltello insanguinato con
una manciata d’erba…>> (R.L. STEVENSON, op. cit. pp. 118-119)
31.
Ci riferiamo, in
particolare, in particolare, a <<Memorie del sottosuolo>> di
Dostoevskij e a << Il compagno segreto>> di J. Conrad.
32.
A. CIBALDI, op.
cit. p. 315
33.
V. HUGO, Notre –Dame
de Paris, Ed. Mondadori, Milano, 1964
34.
<<Morbo
conosciuto nella sua fenomenologia esteriore fin dal 500 a. C. e denominato
“morbo sacro”, l’epilessia ha sempre destato estrema curiosità mista a
spavento…Nel Medioevo la bieca cecità e la protervia del potere teocratico, volutamente
ignorando gli insegnamenti ippocratici, perseguitava gli epilettici al pare
delle streghe, impedendo loro la procreazione, castrando i maschi e
rinchiudendo le femmine, alimentando in tal modo a dismisura i pregiudizi
popolari>>. (P. L. DESJORIO-D. GARIBALDI,). L’epilessia in età scolare:
aspetti clinici e sociali, in <<Conoscere l’handicap>>, ed. Ist. Di
Ricerca sulla Comunicazione, Pescara, Settembre-Dicembre, 1987, p. 60
35.
Ma egli non
comprendeva più nulla di quello che gli si domandava e non riconosceva coloro
che lo circondavano e, se lo stesso Schneider (lo psichiatra) fosse arrivato in
Svizzera, per visitare il suo allievo e paziente di una volta, ricordando lo
stato in cui qualche volta cadeva il principe nel primo anno della cura in
Svizzera, avrebbe fatto un gesto disperato con la mano e avrebbe detto come
allora: <<Idiota!>> (F. DOSTOEVSKIJ, L’idiota, Garzanti, 1978, vol
II°, p. 776).
36.
M. Medoff, Figli
di un Dio Minore, Ed. Mondatori, Cles (CN), 1987
37.
<<Per tutta
la vita, sono stata l’espressione di altra gente… Lei dice; lei pensa; lei
vuole. Come se io no esistessi. Come se non ci fosse4 nessuno, qui dentro, che
potesse capire. Finché non mi permetterete di esprimere la personalità…al pari
di voi, non sarete mai realmente in grado di penetrare il mio silenzio, né di
conoscermi. E finché non ne sarete
capaci, non permetterò mai a me stessa di conoscervi. Fino a quel momento, non
potremo mai essere uniti. Non potremo mai entrare in relazione>>. (M.
MEDOFF), op. cit.pp. 104-105
38.
O SACKS, Vedere
Voci, Ed. Adelphi, in <<Il Circolo>>, Ed. Mondatori, Verona,
febbraio 1991. p. 17
39.
<<No,
bisogna davvero finirla di considerare gli handicappati come una categoria di
infelici… Da qui potrei fare ogni cosa ed essere compresa, giustificata. Potrei
sputare in faccia a chi voglio. “Poverina”, direbbero dopo tanto tempo che vive
li dentro… C’è anche una categoria di persone che mi vede come una Madonna di
Lourdes, come un oracolo, una Cassandra…>> (R. BENZI, Il vizio di vivere,
Euroclub, Bergamo, 1987, pp. 61-62, 103,107
40.
<<E perché
da tutto ciò che circonda, sembra che qualche dio minore abbia creato il mondo.
Non avendo tuttavia la forza di forgiarlo come avrebbe voluto?>>
(TENNYSON, Idilli del Re, in M. MEDOFF, op. cit., p.9)
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