E’ chiaro che il neo-bullisno è alimentato anche dalle forti sollecitazioni del web, della rete, insomma. L’importante (vedi- a esempio- la violenza subìta da una giovane studentessa di Bollate ad opera di una sua coetanea tra l’indifferenza dei compagni presenti impegnati a filmare passivamente la grave aggressione) è che tutto corra sul filo invisibile del web, dove le informazioni prendono strade multiformi.
Una gigantesca mole di notizie tambureggia la mente
degli utenti, una moltitudine senza fine vittima di un presente connesso a un
mondo sempre più virtuale e molto meno vivo e concreto. Fa pena e anche tanta paura questo
imperante modus vivendi improntato su una vita pensata ma non vissuta.
Le neo-emozioni non hanno dietro un
tempo normale. Si è immersi nel solo presente, non si ha memoria del passato,
tutto è stato sempre cosi, il mondo non
è il risultato di un processo storico
lento quanto faticoso, la vita sembra essere stata cosi, le sue fattezze
non sono mai state immerse nella storia,
cosicché il linguaggio dei padri non produce alcuna eco in questo
perenne presente-assente.
Il cuore subisce accelerazioni
improvvise quando il telefonino rimane muto, non squilla in una qualsiasi ora
del giorno e della notte, non scandisce
il trascorrere del tempo.
La vita è dettata dall’esterno, il
nostro mondo interiore è stato formattato e la nostra mente-hard disk è
governata da moderni software che aggiornano in tempo reale le nostre coscienze
di quanto avviene nel mondo globalizzato.
Sappiamo di alluvioni, incendi, colpi
di stato, scontri sanguinosi per una partita di calcio.
Cosicché tutto si trasforma in un
film la cui visione diviene
pericolosamente perpetua.
Il computer (la rete, in particolare) si è trasformato in
interlocutore umano, una sorta di compagno segreto.
Per questo motivo ho pensato
alla trama di un mio possibile racconto:
una sorta di viaggio dentro il mondo dei computer.
La storia è questa. Stefano,
anni trenta, con una spiccata vocazione letteraria, spinto dalla necessità
morbosa di apprendere i sistemi che stanno alla base del mondo
dell’informatica, smette di scrivere.
Passano gli anni, Stefano ha
acquisito molte conoscenze su tale mondo, ne comprende la natura e le sofisticatissime
tecniche.
E’ uno scavo, il suo, dentro le
pieghe meno di un neo-linguaggio che, alla fine, s’impossessa della sua mente:
ormai profondamente svuotata, incapace di sollecitargli il dono della
scrittura.
Il giovane ha sacrificato tutti i suoi risparmi per
l’acquisto di prodotti tecnologici di ultima generazione in grado di farlo
entrare nei meandri fascinosi della “realtà virtuale, una realtà quasi
perfetta, anche se simulata.
Ha smesso di amare la sua
ragazza. Ama morbosamente Open, il programma che simula orgasmi proibiti, le
forme di ragazze dai corpi giunonici che, all’occorrenza, inscenano strane
danze tribali, riti sessuali che richiamano motivi esotici. Ha pure smesso di
sognare.
E’ il computer a sognare per
lui, trasmettendo alla sua lacerata coscienza immagini sempre più ipnotiche.
Specie nei giorni di crisi,
s’accanisce a modificare i FILE dell’HARD DISK, brandello dopo brandello, come
se si trattasse di carne lacerata, di materia viva.
No, l’idea non mi piace, mi
lascia una grande amarezza dentro. E’ un
essere disumano, Stefano.
Mi viene difficile pensare che
il suo futuro possa essere deciso da una tecnologia così devastante. Non si
tratta di proporre modelli umani di tipo elegiaco, le forme di una civiltà,
quella contadina, ormai inghiottita dal cosiddetto progresso.
E’ che l’uomo non è più al
centro delle vicende, non è più il punto d’arrivo degli attuali progetti di sviluppo
scientifico. Nella fase dell’Umanesimo, invece, l’uomo celebra se stesso per
mezzo dell’arte.
Non è difficile immaginare le
botteghe fiorentine di quel periodo, comprendere l’ansia intellettuale che
dominava uomini protesi a costruire modelli di inimitabile bellezza creativa.
Si tratta di capire, però, che
da una realtà vissuta e progettata dall’uomo per l’uomo, siamo approdati ad una
realtà simulata (la realtà della realtà), col rischio che tutti noi si diventi
ubriachi già di primo mattino, sorpresi (come il Gregor Samsa kafkiano?) dal
dubbio che immagini a più dimensioni si fisseranno nelle nostre coscienze
tradite, ormai incapaci di percepire ciò che un tempo era “certo” e
“vero”.
Sarà mai possibile riavvolgere il
nastro, riprenderci un po’ di vita vera? Non lo so.
So di certo che cosi facendo andremo a
sbattere contro il muro dell’indifferenza, la stessa di cui tanto parla Papa
Francesco.
E non sarà facile riconquistare i
valori di un tempo quando il cuore umano e la fantasia imperavano.
Non si tratta di pessimismo fine a se
stesso.
E’ che non si può accettare che la
solitudine divenga la sola certezza umana cui oggi è possibile aspirare.
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