di Enzo
Stranieri
Non ho letto
Eroi silenziosi di Angelo Jannone,
Datanew, 2012, che narra i più importanti avvenimenti di cronaca italiana degli
ultimi trent'anni. “La Riviera” di domenica 26 agosto u.s., p. 4, riferisce che
Carlo Vulpio (vedi Corriere della Sera del 22 agosto 2012, pag.37) considera il
volume in questione “un libro onesto”. Di certo è così. Ma spiace molto sapere
che Jannone, nell’esercizio delle sue funzioni ( Ufficiale dell’Arma), per
paura d’essere accusato di complicità geografica (è possibile dire così per chi
vive e opera in Calabria?), pur convinto dell’innocenza del senatore socialista
Sisinio Zito e di suo fratello Antonio, non seppe dire no, come lui stesso
scrive, alla richiesta di sorveglianza speciale avanzata dalla Procura di Palmi
per il fratello del senatore, pur certo che i due fossero estranei a ogni
accusa. Il caso fa molto riflettere: un dolore incontenibile che ha
radicalmente alterato la vita di due onesti cittadini. Ricordo che noi
socialisti della Locride rimanemmo affranti, sconfortati, ma anche certi della
completa innocenza dei nostri carissimi amici, nonché autorevoli compagni di
partito. Ero affranto e arrabbiato, e ritenni giusto comunicare la mia vicinanza
e il mio affetto a Sisinio e ad Antonio, scrivendo al primo, in data 17 luglio
1994, la lettera che segue:
Caro Sisinio,
il caso
“giudiziario” che ha investito come un uragano te e Totò rivela aspetti più che
kafkiani. Ne “Il processo” J.K. non conosce le ragioni del suo arresto. La
forza coercitiva del Potere, alla fine, lo porterà a incolparsi di delitti mai
commessi, a “morire come un cane”.
È un’accettazione di responsabilità quella di J.K. che testimonia la “necessaria” debolezza umana contrapposta, guarda caso, al dominio egemonico del grande vecchio orwelliano (ghignante e cinico all’eccesso). Tu e Totò avete conosciuto preliminarmente tutti i dettagli dei vostri misfatti (sic!) che, pur se ridicoli e inconsistenti, hanno avuto (continuano ad avere) la forza dell’infamia al pari dell’accusa non rivelata a J.K.. In entrambi i casi, infatti, vige la stessa impossibilità di difendersi. Ma andiamo per ordine.
È un’accettazione di responsabilità quella di J.K. che testimonia la “necessaria” debolezza umana contrapposta, guarda caso, al dominio egemonico del grande vecchio orwelliano (ghignante e cinico all’eccesso). Tu e Totò avete conosciuto preliminarmente tutti i dettagli dei vostri misfatti (sic!) che, pur se ridicoli e inconsistenti, hanno avuto (continuano ad avere) la forza dell’infamia al pari dell’accusa non rivelata a J.K.. In entrambi i casi, infatti, vige la stessa impossibilità di difendersi. Ma andiamo per ordine.
Teorema: enunciato sommario d’una proposizione
contenente una verità che si intende dimostrare e che costituisce la
conclusione (tesi) cui si giunge, attraverso un procedimento logico deduttivo
in cui ci si avvale di postulati o verità dimostrate, dalla premessa iniziale
(ipotesi); Dizionario Italiano – Ed. Sandron, Firenze. Ipotesi magistratura: politico = malaffare. Verità
dell’enunciato: chi è un politico (con o senza storia personale eticamente
irreprensibile) ha comunque un legame di interesse con la mafia, che, essendo
lo “Stato” che governa nel sud non può non avere rapporti perversi con la classe
politica di turno cui è delegato il Potere ufficiale. Tesi: i fratelli Zito, con o senza prove, con o senza testimonianze
certe, al di là della loro storia personale (che parla e canta, come si suole
dire), sono ugualmente da considerarsi mafiosi. Tempo prima che venisse
approvata la riforma del nostro sistema processuale, Giorgio Saviane ha scritto
“L’inquisito”, breve romanzo che narra le traversie di un uomo accusato
ingiustamente e che, per l’angoscia vissuta nel corso del processo, vorrebbe
“essere colpevole per respirare”. Il libro, recentemente ristampato nei
tascabili economici Newton, a detta di qualcuno è servito come pungolo per la
riforma stessa, in particolare per l’affermazione (solo teorica?) del rito
accusatorio (rito anglosassone) da quell’inquisitorio (ancora, nonostante le
riforma, vigente in Italia). Il processo Zito è di tipo inquisitorio, infatti,
volendo fare una digressione (gratuita fino a un certo punto), si può
parafrasare Camus, “Lo straniero”, allorquando il magistrato chiamato a
giudicare il protagonista del romanzo, a seguito dell’atteggiamento di
quest’ultimo (“indifferente” a tutto), lo apostrofa dicendo: “Il vuoto umano
dell’animo quale si ritrova in quest’uomo diventa un abisso dove la società può
perire”. Lasciando da parte la rivolta metafisica che Camus intende trattare,
resta da chiedersi se anche i fratelli Zito, alla luce dell’impeto inquisitorio
operato nei loro confronti, debbano ritenersi vuoti nell’animo, fautori dell’
“abisso dove la società può perire”. Siamo alla fantascienza, al ripristino,
anzi, della “cultura dell’ombelico”, per dirla con la felice locuzione di G.
Melina, scrittore. Manca poco che Sisinio e Totò Zito ringrazino la magistratura
per l’opera di “bonifica” operata all’interno delle loro “anime perse”
(corrotte). Viene alla mente Barbara, protagonista de “L’uomo è forte” di
Corrado Alvaro, che, esasperata dalla presenza assillante dell’Inquisitore,
denuncia alle autorità Dale, il suo compagno, al fine di espiare la “colpa”
commessa contro il Potere (il totalitarismo) e quindi contro la società. Anche i fratelli Zito cospiravano contro lo
Stato?
Se
diamo retta al teorema, certamente si. Se, invece, usiamo un minimo di
razionalità, è evidente che essi sono agnelli sacrificali sull’altare del più
bieco cinismo culturale. Si, perché di cultura si tratta. È certo che per fare
il magistrato occorrono studi giuridici. Accanto a questi, però, è
indispensabile una cultura umanistica necessaria a costruire l’uomo ancora
prima che il magistrato. Diffiderei molto, a esempio, di un uomo di legge (in
senso lato) che non abbia letto, tanto per fare alcuni nomi, la lista è molto
lunga, “Il compagno segreto”, “Linea d’ombra” di J. Conrad, “Delitto e
castigo”, “Memorie del sottosuolo” di F. Dostoevskij, “Uomini e topi”, “La luna
è tramontata” di Steinbeck, “Il richiamo della foresta” di J. London, “Un caso
di coscienza” di L. Tolstoj, “Piccolo campo” di E. Caldewell, “L’uomo senza
qualità” di Musil, “Ulisse” di J. Joyce, “Padri e figli” di I. Turgenev, “Il
Maestro e Margherita” di Bulgakov… Non si tratta di “sentenziare”, dunque, ma,
oltre alle norme, di tutelare la dignità dell’individuo. E ciò, prendendo a
prestito le parole di A. Zanzotto, poeta, perché qualsiasi individuo possa
essere “degno di quel concetto ideale di personalità che ogni uomo formula nel
suo intimo”.Caro Sisinio, se non ci fosse la sofferenza morale di tutti voi, la
vicenda assumerebbe contorni più grotteschi che drammatici; ma l’amarezza,
oltre che lo sconforto, è troppo grande per potere abbozzare anche un piccolo
quanto breve sorriso ironico. È realtà, questa, dura quanto tragicamente
attuale. Vorrei che tu e Totò (fatti latore del messaggio) mi sentiste vicino,
che, pur nella condizione di rabbia che necessariamente vi avviluppa, sappiate
che i compagni non hanno mutato di un millimetro la stima e l’amicizia nutrite
nei vostri riguardi.
Un
forte abbraccio anche da mio fratello Peppe.
S.
Agata del Bianco, 17 luglio 1994
(Enzo Stranieri)
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