di Vincenzo Stranieri
La realtà dell’infanzia insegue l’emigrante
storico in modo ossessivo; egli vive una doppia condizione psicologica: il
passato, che per il fatto di trovarsi in una posizione non secondaria della
mente, può essere definito tempo presente, è la realtà d’ogni giorno, che
richiede fatica, sforzi d’integrazione non indifferenti.
I figli dei nostri emigranti rappresentano
invece una generazione presente/assente rispetto alle problematiche
socio-culturali del luogo d’origine. Il “vantaggio” di tale generazione é
dovuto, tra l’altro, alla fruibilità dei nuovi mezzi di comunicazione.
Ma la caratteristica più marcata degli
appartenenti a tale fase storica é quella di una nostalgia attiva, non
necessariamente dolorosa, che consente loro di vivere da protagonisti nel luogo
d’adozione.
E’ una generazione che prende e dà, non
sopravvive all’interno del tessuto sociale in cui opera.
E’ parte integrante e propositiva. Ha
peso e voce nell’ambito della realtà che ha scelto come osservatorio
privilegiato della propria vocazione creativa.
E’ il caso degli scrittori italo-canadesi, che il
grande pubblico ignora, ma di cui si comincia a parlare con un
certo interesse.
Partiamo da Antonino Mazza, poeta, traduttore,
editore, che emigra in Canada dalla Calabria nel 1961, e che ha studiato
letteratura inglese, letteratura comparata e filologia romanza presso la
Carleton University, l’Università di Toronto e la Scuola Normale Superiore di
Pisa. Attualmente vive a Ottawa.
Cominciano col dire che in La nostra casa è in
un orecchio cosmico , ed. Monteleone, 1998, con la traduzione di Rosamaria
Plevano, Mazza ha bisogno di dare una forma alla fisicità del mondo che lo ha
partorito, perché uomini e cose si dibattono nella sua mente alla ricerca di
una collocazione definitiva, e non solo come mera presenza ma come realtà di
cultura dalla quale partire per il lungo viaggio verso una conoscenza
cosmopolita, non rinnegando- ma filtrando- il cosiddetto mondo moderno,
gli spazi vasti della realtà in cui si vive, sempre memore che
In un orecchio cosmico di aspri picchi e
colline terrazzate
dove la ginestra e ciclamino fioriscono
a fianco e i limoni
e la casa dove sono nato
In tal senso, Mazza, nella sua introduzione al
testo poetico (tradotto in disco dal fratello del poeta, Aldo, che ne ha curato
le musiche) ci ricorda le parole di Jean Cocteau: “ Più il poeta
canta dall’interno del suo albero genealogico, più è intonato”.
Mazza vuole avere una memoria antropologica, non
nostalgica, del suo passato, perché la nostalgia distrugge la tensione
creativa, logora i ricordi, sollecita amaro fiele nell’animo turbato. La
memoria è invece conoscenza, cultura di un popolo, perché senza memoria ogni
individuo è perso, privo d’identità.
La memoria è realtà viva, per dirla con Borges,
un inno contro la morte.
Mazza è fortemente impegnato nella ricerca del
suo pianeta d’origine, infatti.
Per recuperare questo pianeta, spalanco le
braccia
e, come scia di nave, il mio alfabeto sgorga
per baciare le fiamme, il mio cuore, per
ridargli il battito,
la luce che sorride nella stanza dentro cui
tutte le stanze irrompono,
per fare più spazio.
Le 12 poesie che compongono il testo poetico sono
state scritte in inglese ma - e ciò non è un paradosso- pensate in
italiano. La traduzione evidenzia questa peculiarità intellettuale, nel senso
che la resa poetica non viene intaccata dal gusto personale della traduttrice.
La purezza lirica di fondo rimane intatta, a conferma che vi può essere una
“doppiezza” intellettuale priva di qualsiasi ambiguità.
E ciò perché
Il sole è arrivato, e le barche gialle e
azzurre.
E la poesia che segue le stagioni mi balza
in grembo, come luce del giorno vien fuori da
un armadio,
come scoiattolo, all’alba.
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