lunedì 5 aprile 2010

LA KOINE' AGRO-PASTORALE NELLA LOCRIDE (Massari e pastori tra medioevo e modernità)

Intervista a Vincenzo Stranieri di Francesco Ardino
la Riviera DOMENICA 14 MARZO 2010

Com’è nata l’idea di questa corposa ricerca storco-antropologica?
L’idea è maturata circa dieci anni or sono, quando cominciai a partecipare alle iniziative del Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo dell’Università della Calabria diretto dal Prof. Vito Teti,.


Cosa significa Koine’?
E’ un termine mutuato dall’antico dialetto greco, risale addirittura al periodo pre-ellenico. Significa mondo, universo, cultura. Pertanto, risulta adatto per definire le forme di un popolo e/o di una comunità. Mi è stato suggerito da un mio caro amico, Enzo Bartolo.


Ho notato che i pastori della Vallata La Verde - che nel libro trova ampio spazio, quasi ad essere elemento guida della sua ricerca antropologica,- si spostavano, specie quando l’erba era scarsa, dai luoghi montani verso la pianura. Dove, precisamente?
Anche per pastori della Locride la transumanza era un evento faticoso; pertanto, quando scarseggiava l’erba, erano costretti a trasferire i loro greggi presso i verdi pascoli di Marasà e Centocamere, poco lontano da Locri. Non le distanze percorse dai pastori d’Abruzzo, ma pur sempre uno sradicamento dai luoghi d’origine.


Nella premessa, lei accenna a curiosità e pregiudizi inerenti i pastori. Vuole meglio spiegarci di cosa si tratta?
Sui pastori vigevano tutta una serie di curiosità e racconti popolari a sfondo magico. Avendo modo di frequentare boschi e luoghi isolati, s’era affermato tra la gente dei villaggi vicini il convincimento che fossero depositari di eventi magici. Un albero, una caverna, un dirupo, un cespuglio, un elemento materiale significavano misteriose alchimie, riti maligni. Da qui tutto quel repertorio classico di folletti, ninfe, spiriti vari che, per la gente comune, riguardava la vita dei pastori, la loro natura aspra e selvaggia, il loro coraggio di vivere isolati e lontani dalle famiglie nei lunghi mesi invernali della transumanza, dormendo in ricoveri poco confortevoli, inadatti a ripararli dalle intemperie, specie quando le piogge cadevano ininterrottamente anche per diversi giorni.


Lei, unitamente al Prof. Teti, nel libro, sottolinea non poco ll ruolo rivestito dai cultori locali. Vuole spiegarsi meglio?
Negli ultimi anni ho più volte avuto modo di verificare il ruolo per nulla secondario svolto dai cosiddetti cultori locali, che, senza clamore, “soffiano” sulla polvere della storia secolare dei nostri luoghi. Sono dei ricercatori in proprio che lavorano al di fuori dell’ambito universitario, e, spesso, nella più completa solitudine. In zona, per fortuna, il loro numero é in aumento. E ciò rappresenta un motivo di speranza. . Quando Corrado Alvaro scrive in “Gente in Aspromonte”: “ E’ una civiltà che scompare, e su di essa non bisogna piangere, ma trarre, chi ci è nato, il maggior numero di memorie”, intende appunto sollecitare il recupero di quella coscienza storicamemoria antropologica di una comunità – Vito Teti lo spiega molto bene nell’introduzione al libro- senza la quale tutti gli avvenimenti perirebbero nel nulla. Conservare la vuol dire scolpire l’uomo nel suo lungo viaggio verso la conoscenza, contribuire alla conoscenza di una civiltà millenaria che chiede, con diritto, una sua legittimazione storica.


Ma la pastorizia era realmente redditizia?
La pastorizia, nonostante tutto, è stata un importante strumento economico per la crescita delle comunità in cui veniva praticata, rappresentando quasi sempre una fonte di reddito certa.


Nel libro vi è un lungo capitolo relativo alla vocazione poetica dei massari e dei pastori della Vallata La Verde. Di cosa si tratta?
E’ vero la Vallata La Verde presenta significative peculiarità:. Un discreto numero di massari e pastori è cattolico praticante, e, cosa non certo secondaria, compone, pur se analfabeta, versi dialettali di notevole tensione lirica. Ho rintracciato quattro pastori/poeti e quattro contadini/poeti, tra cui una donna.


Per finire, cosa ha inteso affermare con la sua ricerca storico-antropologica?
Non ho di certo inteso proporre improbabili ritorni a saperi ormai estinti. Ho cercato, invece, di rileggerli per inserirli in nuove forme di saperi locali che non taglino i ponti col passato. Oggi dobbiamo amaramente registrare che quanti tentano di valorizzare le ricchezze e la bellezza della nostra regione non sempre ottengono risposte/proposte concrete presso i nuovi ceti sociali e politici.

3 commenti:

  1. Complimenti perchè un libro di tale portata comporta una grande fatica ma anche una non comune passione per la propria gente e la propria terra. Grande Prof.!

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  2. E' vero, servono fatica e passione. Spero che il mio lavoro serva- tra l'altro- a tasmettere alle nuove generazioni il bisogno della ricerca. Sarebbe proprio bello.

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