LA PADRINA, terzo romanzo della scrittrice Palma Comandè che descrive il dramma della donna tra malavita e disagio sociale
La Padrina” di Palma Comandè, Rubbettino, 2021, non è solo un romanzo, è anche un breviario antropologico, uno spazio dove il narrato cede il passo a brevi ma intensi aforismi. Credo che la quarta di copertina non renda completo merito al romanzo, apparentemente volto in più direzioni ma con al centro protagonisti che in realtà s’identificano in un’unica matrice sociale, un grumo di speranze deluse, alimentate da un unico quanto pericoloso carburante: la violenza come riscatto sociale. E le donne, in un mondo così legato alle antiche usanze (non solo a quelle ntranghitiste-mafiose), pagano un prezzo inaccettabile, doloroso oltremisura. ll ruolo della donna all’interno di un alveo sociale che, negli anni ’80, in un preciso territorio calabrese, è ancora denso di contraddizioni socio-culturali, che la ingabbiano fino a renderla senza voce. Ci si pensa ombelico del mondo, s’ innaffiano arroganza e miseria culturale, ma si rimane sempre e comunque ai margini del mondo, e questo anche quando si crede d’essere protagonisti in America (Merica), dove per viverci da ricchi mafiosi si paga un prezzo elevatissimo. Non ci si accorge del ghetto antropologico in cui si agisce, lontani della società americana, che li giudica portatori di tradizioni d’altri tempi. Al vertice di questo microcosmo c'è la nonna di Marià (protagonista/io narrante), donna Menù (La Padrina) che, come ebbe a dire in un secondo momento alla nipote, è divenuta arida e violenta perché si è sentita creditrice nei confronti di una società che le aveva ingiustamente, secondo lei, tolto affetti e sangue filiale. La Padrina comanda su tutto e su tutti. Ogni sua richiesta viene esaudita anche quando potrebbe sembrare violenta e priva d’umanità. Rappresenta la giustizia in pectore, simboleggia quello che un tempo veniva definito “tribunale dei poveri”. Nel piccolo paese del Sud d'Italia dove è ambientato il romanzo non potevano mancare i sogni, le speranze in un futuro migliore. Cominciamo da quelli soffocati ancor prima di vedere la luce. Marià e Lisa sono amiche dai tempi dell'infanzia, da sempre condividono progetti per il futuro.
Lontano dalle fasi in cui la realtà prende una
piega di violenza estrema, la freschezza giovanile e sognante delle due amiche
giunge al lettore come acqua fresca di sorgente ancora incontaminata. In queste
pagine c’è tanta poesia (opportuni, a tal proposito, i termini dialettali
utilizzati per dare la misura del
luogo d’origine). I sogni e le
speranze di Marià e Lisa
sospingono verso un mondo volto al cambiamento, lontano dalle trappole
dell’ambiente paesano. Marià spera di fare la stilista, Lisa di sposare Peppe,
il suo amore. Nessuna delle due, a conti fatti, riuscirà nell'intento e sarà
Lisa, in procinto di sposarsi, a pagare con la vita i suoi sentimenti sinceri
per il giovane ndranghitista. L’uccisione di Lisa e Peppe (che aveva deciso di
lasciare il paese per vivere con l’amata a Milano, rompendo così con i vincoli
mafiosi d’origine) è quasi un delitto annunciato. Da qui in poi si dipana
un narrato vasto, tanti i misfatti compiuti e/o subiti
dai principali protagonisti. Va
sottolineato, però, che Palma Comandè non si ferma alla mera narrazione di
vicende di malavita all’interno di una Koinè immersa nell’arretratezza. Non è soltanto una storia
di mafia, infatti. Nella realtà antropologica di questo mondo conchiuso non c’è
spazio per la donna, che solo nella
“fuga” può trovare un suo concreto riscatto. In questo senso la figura di Marià
è ambivalente, cerca
disperatamente d’ essere una
moderna Antigone ma senza potervi riuscire. E per questo dice a se
stessa: “ Che tutto quello che non c’era
più, non mi restava che il ripiego in me stessa, a cercare la pace.
Ovunque…nella rassegnazione”. Ma non è, come deducibile da un’ attenta
disamina del romanzo, una rassegnazione
priva di luce. Marià è accusata dalla
Padrina di avere tradito gli ideali della famiglia, perché, tra l’altro,
considera la montagna come terra matrigna, e per questo la disereda, la
maledice con inaudita ferocia, sperando che ella sia sotterrata al più presto nei modi drammatici che hanno visto morire sua
zia Mara Rosa, suicidatasi per sfuggire alle grinfie sadiche di sua madre (la
Padrina). Chiudo con un’altra bella riflessione di Marià. “Ma l’imbarazzo di Rocco mi riportò drasticamente alle origini. A quel
nostro mondo singolare. Accogliente ma anche respingente. Aperto ma anche
chiuso. Vivo ma amche morto… Quel mondo dei contrasti. Che è tomba ed è culla. Da cui fuggi , e nel quale vuoi
tornare..”.
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