martedì 16 ottobre 2012

IL VINO ROSSO DEL MIO AMICO

L’amico col quale sto parlando è rimasto impigliato nel velo di un vino robusto. No, egli ragiona, ma è pure accarezzato da una leggerezza lieve, quasi un soffio di vento, che lo spinge verso gradevoli metafore.

Tra l’altro, è certo che le nuove generazioni (storicamente il discorso vale per tutti e si ripete dalla notte dei tempi) sono onde che, disperatamente, vanno a sbattere contro nutrite scogliere (la storia che li precede). La metafora è bella e allusiva, ma è bene ragionarci sopra, capirne il senso, i motivi (non riconducibili al vino rosso frizzante assaporato dal mio amico) che l’hanno prodotta. Ogni generazione, infatti, tenta di assurgere a protagonista. Nondimeno, il “nuovo” deve confrontarsi col “vecchio”, con i suoi modelli culturali. Forse non bisogna essere troppo moderni? Forse, come qualcuno suggerisce, bisogna ritornare all’ordine del Tutto, fondato sull’ordine delle cose o sulla volontà di Dio? Resta il fatto che, specie oggi, le nuove generazioni non sempre riescono ad essere onde che s’infrangono su scogli dai poliedrici indirizzi umani. Rimane la schiuma successiva all’urto, una sorta di bianco brontolio quanto mai sterile e inopportuno. Ma se ciò è dovuto, come da tempo si sostiene, al disagio causato dalla scomparsa delle antiche certezze, allora ci troviamo di fronte a individui soli, privi di storia. Se la realtà odierna è quella della realtà degli oggetti piuttosto che della sostanza, dell’avere piuttosto che dell’essere, del mero profitto piuttosto che da ideali forti tesi ad sostenere l’individuo rimasto a lottare in solitudine, allora non può che delinearsi uno scenario di grave disagio sociale, uno smarrimento culturale senza precedenti.
Ecco, dunque, l’importanza degli scogli, resistenti all’aggressione del tempo e delle onde che, in un’epoca non necessariamente lontana, non torneranno indietro deluse e bianche di schiuma, ma saranno capaci, forse, di penetrare nelle pieghe meno rivelate della storia umana.

Un mio “vecchio” appunto.
Dalla veranda di Peppe l’occhio allarga il suo orizzonte, e il paese appare in una luce nuova. Alcune case nascondono pezzi di mare azzurro, altre, non ancora definite, fanno filtrare nel vuoto delle stanze tratti di bianche colline che guardano il mare Ionio. E’ una casa, questa di Peppe, nell’attesa di qualcosa, o qualcuno. La sua posizione è un invito allo scavo interiore, alla contemplazione di solchi irrigati dal tempo.
La ferrovia è percorsa da treni lenti e vuoti. Immagino barche che salpano per terre lontane e inesplorate: forse è possibile udire le voci concitate dei marinai, le istruzioni impartite dai loro superiori. Mi sento escluso dalla forte emozione che crea l’avventura marina, prigioniero di una quotidianità coltivata ai limiti dell’assurdo. Peppe mi invita a rientrare in soggiorno nel mentre il tramonto regala alla valle un ultimo raggio di sole.

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