venerdì 19 aprile 2013

CARLO BADIA E L'ARTE (Racconto breve del 1984)



L'arte  attendeva al varco  Carlo Badìa con la pazienza maligna di una pianta carnivora. Come la città, che mai lo aveva incluso nel suo grembo . O come il paese, che lo aveva costretto a una fuga precipitosa. Anche Luigi, amico d'infanzia, era caduto nella rete del tradimento, la sua bella era scomparsa nel traffico impietoso della città.
 Ti vedo cittadina,
 contadina dai piedi scalzi.
Il tuo abbandono aumenta
la mia inerzia, il tremore
delle mie mani callose.
  ( Luigi)
 Carlo mitizzava la più semplice delle sue azioni, ostinandosi a celebrare se stesso. Solo un avvenimento eccezionale lo poteva distrarre dalla rupe, dai suoi famelici abissi.
Li portava bene i suoi trentacinque anni, Irene. Altezza media, capelli a caschetto, occhi nocciola, attenti, vivi. Era bella ancora,  ma da ragazza era stata certamente bellissima. Pelle fine, vellutata. Movimenti armoniosi, voce intonata. Una signorina per bene con alle spalle, ormai lontana, una famiglia per bene.
Emanano un fetore particolare, i lestofanti, una famelicità  priva di sazio. Avessero il mantello di un vampiro potrebbero confondersi con la notte. Ma le narici di Irene non sapevano captare il loro odore molesto, la malizia delle loro ruberie di mercato. E ogni volta doveva cominciare daccapo, sudare per lo sforzo in salita,  A stento, dopo anni, era riuscita a mettere su una libreria. Gli scaffali, alti, e i libri, tanti, in ordine perfetto. Una deposito di parole, in fiume straripante di idee, immagini. L'inchiostro, l'odore acre di stampa. Uno scalino non troppo alto divideva in due sezioni  l'ambiente. Il panno, tutte le mattine, sollecitava il dorso dei libri. Era diventato un rito. Dick, il cocker, abbaiava contro la monotonia. Era come un bimbo: gli stessi desideri, le stesse carezze, viziato, pure. Dick sapeva di potere fare i capricci. Irene lo avrebbe solo sgridato, con garbo. Si faceva consigliare, la gente. Irene spostava la scaletta velocemente. Ogni angolo le era noto, anche la poca polvere sfuggita al rito mattutino. E' noiosa, la gente. Vuole pagine scacciapensieri, insiste. Dick guardava Irene saltare come una cavalletta e, alle volte, ridere di nascosto, nascondendo il suo viso con le copertine variopinte di alcune riviste di moda.

E' indifferente, la folla, mandria in fuga. Carlo si sentiva colpevole e deriso. La folla appariva come in vecchio film dalle inquietanti sequenze. Ma lei, Irene, era carne, e quando Carlo la strinse al petto, al culmine di un incontro dettato da leggi misteriose, provò un'emozione violenta, una tensione capace di straripare in un pianto liberatorio.
Il fascino del sommerso affascinava la mente di Carlo. Le idee affluivano nel suo cervello come fiume in piena.
" Ho sostenere  le mie cose, darmi un'identità, per non cadere nel pozzo della follia, perché gli altri non ridano di me", diceva a Irene.
" Ti porti dietro le croci del tuo mondo, che ti vuole  risorto lontano", le rispondeva dolcemente.
Capiva il suo uomo, lo sollecitava a fuggire i ricordi custoditi con gelosa memoria.
" Non negare il tuo mondo, Carlo, il mondo sei tu".
Carlo si muoveva con l'ansia di chi aspetta la preda: una trappola vicino al pollaio, un'altra nei pressi dell'uva matura, sotto l'albero di noci.
Tutto è pronto. Immagina gli amici. Varcano il portone della libreria: le strette di mano, la  forte emozione che crea la solidarietà!
" Non sopporto che la gente sfugga al dialogo. tento il rapporto, io. Non sopporto la mia esclusione. Io tento costruirmi, mi limo, mi voglio pulito, depurato al massimo. Non mi nascondo più, io”.
Nadia alzò gli occhi verso il soffitto giallo-paglia. la sigaretta, quasi spenta, le stava incollata alle dita per abitudine più che per desiderio. Da ore stava seduta sul divano di finta pelle. Il mangianastri girava a vuoto. Il suo compagno era in ritardo, forse anche lui stava ascoltando musica divina. Si alzò a fatica, le venne da vomitare. E da piangere. Una sozzura marrone sporcò il water bianco-panna. Le persiane chiuse impedivano la luce. Ma Nadia si muoveva come se la stanza fosse illuminata a festa. Tutto è fermento, fuori, camminano in fretta anche gli autobus. Dentro l'atmosfera ristagna. attimi eterni.. Nando scese le scale senza fretta. Nadia non gli domanda nulla. Nando va in cucina, alza il coperchio della pentola. Guarda la fuga di vapore. Non lo invidia. Dura solo pochi attimi.
Nadia, pomeriggio, sarebbe andata da Carlo, in libreria. Nando pensava ad altro. Una zampata alle luci multicolori che gli calpestano gli occhi. A Nando fregava poco del coperchio, come pure del vapore.
La città aggrediva Nadia ad ogni sua uscita. camminava svelta.
" Ciao maratoneta!", la stuzzicava Carlo mentre lei si infilava in libreria  con un ultimo scatto vincente.
" Che ti sfotti, stronzo di un calabrese!".
Nando trasferì i suoi pensieri su pianure desolate. Cercava un coltello per recidere la corda che bloccava i suoi freni inibitori. Immaginava il taglio, netto, preciso. E la liberazione  dal dramma. Ma venne calpestato da una folla in odore di linciaggio. Vide una forca: alta, mostruosa nella sua forma statuaria. meglio uscire all'aperto. Mentre scendeva  le scale, Nando sentiva il cappotto pesargli come una montagna. Le trombe della scale: il tonfo, leggero, senza testimoni. Liberatorio.
Anche Fabio, pomeriggio, sarebbe andato in libreria. Pure  Ada, Tommaso e Gianni Necchia. Il fumo delle sigarette creava una nuvola bianca  e fitta. Carlo teneva banco.
" Attenti all'inganno, amici, La letteratura ci appartiene, non lasciamocela ai giocolieri della parola".
"E' setta, la nostra. Non serve a niente avere scoperto l'inganno. Ci condanna la nostra impotenza. Meglio entrare nella stanza dei bottoni, meglio", replicò decida Nadia.
" Sei stanca, è evidente", le ripose Carlo.
" Stanca di rimanere isolata, forse. Il rischio che corriamo h quello di rimanere stritolati dal silenzio del potere editoriale. tale evento potrebbe rivelarsi fatale".
" Non male come proposta, ma ci sputtanerebbe", concluse Carlo alquanto infastidito. La libreria somigliava sempre più a un bunker. Una guerra silenziosa, col nemico alle spalle, pronto a colpire. Carlo era concentrato nella costruzione di dispositivi di difesa contro la nuova angoscia. Il nemico lo avrebbe assediato a lungo. Avvertiva il suo respiro, le sue provocazioni d'assaggio, i suoi sguardi maligni. Guai a farsi sorprendere disarmati, guai. Lentamente, con pazienza ossessiva, ricominciava il tentativo di creare attraverso la parola scritta nuovi strumenti di contatto con la realtà, per penetrare nel mondo fascinoso dell'inconscio, per premere il tasto che porta alla luce. Vi si immergeva esplorando i fondali più bui, memorizzando le più piccole forme, i brevi lampi di luce emanati dall'enorme schermo nero. Gli ingranaggi  che  portano  al linguaggio-voce. L'ansia della ricerca lunga e spasmodica, e poi l'inchiostro, con violenza, sulle pagine bianche. Lavorava lontano degli aggettivi mielosi che, prima, rendevano le sue pagine ridicole parodie di temi già in uso. Il suo linguaggio, ora, disegnava un tracciato dove tutto obbediva a una logica rigorosa. Non una virgola sopportava l'esclusione dal dettato generale dell'opera, che gira attorno all'asse centrale di sostegno. Non più lo scrittore a narrare i personaggi, ma loro, gli eventi, a narrare l'artista.
Le palpebre di Irene, semichiuse. La paura del vuoto, dei volti sorridenti della gente in festa. Anche la radio aveva smesso di gracchiare. Le tende, ormai logore, lasciavano filtrare la luce del giorno. Un'imprecazione, poi di nuovo il sonno. Avanzano i cavalli bianchi  e i cavalieri. Il più bravo di questi si diverte a insultare i rivali. Una partenza fulminea. Corri cavallo, corri. Irene si sveglio d'un tratto, tutta agitata e sofferente.
" La depressione nasce da una caduta dell'autostima", disse a Carlo il neurologo a proposito della crisi che avevano nuovamente avviluppato la sua compagna.
La resa di  Irene, definitiva. Incollata alla poltrona , con gli occhi sbarrati, e i farmaci, a mucchi.
Nadia voleva andare in India.
" E' una stronzata", le disse Carlo.
" Meglio stronza, che eterna illusa".
" Cerca in te la verità, direbbe il filosofo".
" Sono stanca di teorizzare la vita. Ho voglia d'amare, io".
" L'amore, che bel mistero!".
" Lasciamoci andare, è tempo di godere".
"  E' pura pornografia".
" No, è solo  un umano desiderio".
" E di che?".
" Di te, stronzo, non l'avevi capito?".
La rigidità del corpo di Irene, ormai mummificato. Solo di rado lasciava il letto-trappola. Apriva l'armadio. Gli abiti dai colori vivaci le ricordavano giorni ormai lontani, frammenti di vita felice.
La diaspora, inaspettata, degli amici di Carlo, tutti in viaggio verso la " Mecca" del successo. Anche Nadia. E senza una parola chiarificatrice, in silenzio.
La forza possente del tradimento, le sue coltellate ai fianchi. Il peso dei palazzi, le minacce dei balconi, pronti a ospitare l'accusatore di turno. Solo. Dunque era vero: la pelle dell'uomo poteva essere lacerata d'un tratto, come la follia. Carlo pensava al suo arrivò in città. Voleva sfuggire gli occhi maliziosi del paese. Erano belle, le donne che in bicicletta passeggiavano per  i viali, ridendo di gusto dopo avere visto un film al cinematografo. Era bello sapere che nessuno ti avrebbe aspettato dietro un angolo buio per toglierti la possibilità di sognare.
Anche Luigi aveva smesso di sognare. E da tempo. Carlo si sentiva in colpa nei suoi confronti. Ma non avrebbe mai commesso l'errore di vederlo prostrato dalla follia, in pianto per una sigaretta negata, delirante per una foto di donna nuda dagli occhi di ghiaccio.
La mia bella lascia cadere
sulle spalle i suoi capelli d'oro.
E la mia mano li stringe
in una carezza eterna. (Luigi)
Irene viveva le sue giornate in silenzio, immersa in un oblio eterno, dove il tempo veniva scandito da piccoli desideri: caffè, biscotti, sigarette. Poi niente.
Luigi era uscito di senno a vent'anni. Amava la poesia e Giulia, la sua musa.
La mia bella va alla fontana
movendo il suo corpo
in armoniosa danza.  ( Luigi)
La rincorreva nei sogni, tra le pieghe meno rivelate della sua fantasia velata di oscure minacce, perfidi inganni.
Sul mio cavallo alato
farò salire la mia bella.
E assieme le vie del cielo
solcheremo.  ( Luigi)
E' duro sentire gli occhi indiscreti della verità scavare su ogni lembo di pelle, percorrere, con cinismo, gli spazi più angusti della mente. Carlo costruiva frecce avvelenate che partivano dal suo cervello  e andavano a colpire come lama tagliente il volto  arido del nemico.
Ma quando si trovò sul balcone intento a inveire contro il mondo e le sue leggi, provò solo un lieve disagio, poi, come sostenuto da forze nascoste, tornò in camera, certo di avere trovato qualcosa di vitale.
La piccola donna-lumaca
striscia la lingua sul pavimento.
Suo figlio risorgerà, vedrà la luce
del giorno, il suo viso di donna
angelicata.   ( Luigi)
Irene gli chiese del caffè. Carlo le accarezzò i capelli, soffermandosi a guardare i suoi occhi  innocenti. il suo viso di “madonna  bizantina”.

 

 

 

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