L'arte attendeva al varco Carlo Badìa con la pazienza maligna di una
pianta carnivora. Come la città, che mai lo aveva incluso nel suo grembo . O
come il paese, che lo aveva costretto a una fuga precipitosa. Anche Luigi,
amico d'infanzia, era caduto nella rete del tradimento, la sua bella era scomparsa nel traffico
impietoso della città.
Ti vedo cittadina,
contadina dai piedi scalzi.
Il tuo abbandono aumenta
la
mia inerzia, il tremore
delle
mie mani callose.
( Luigi)
Carlo
mitizzava la più semplice delle sue azioni, ostinandosi a celebrare se stesso.
Solo un avvenimento eccezionale lo poteva distrarre dalla rupe, dai suoi
famelici abissi.
Li
portava bene i suoi trentacinque anni, Irene. Altezza media, capelli a
caschetto, occhi nocciola, attenti, vivi. Era bella ancora, ma da ragazza era stata certamente
bellissima. Pelle fine, vellutata. Movimenti armoniosi, voce intonata. Una
signorina per bene con alle spalle, ormai lontana, una famiglia per bene.
Emanano
un fetore particolare, i lestofanti, una famelicità priva di sazio. Avessero il mantello di un
vampiro potrebbero confondersi con la notte. Ma le narici di Irene non sapevano
captare il loro odore molesto, la malizia delle loro ruberie di mercato. E ogni
volta doveva cominciare daccapo, sudare per lo sforzo in salita, A stento, dopo anni, era riuscita a mettere
su una libreria. Gli scaffali, alti, e i libri, tanti, in ordine perfetto. Una
deposito di parole, in fiume straripante di idee, immagini. L'inchiostro,
l'odore acre di stampa. Uno scalino non troppo alto divideva in due
sezioni l'ambiente. Il panno, tutte le
mattine, sollecitava il dorso dei libri. Era diventato un rito. Dick, il
cocker, abbaiava contro la monotonia. Era come un bimbo: gli stessi desideri,
le stesse carezze, viziato, pure. Dick sapeva di potere fare i capricci. Irene
lo avrebbe solo sgridato, con garbo. Si faceva consigliare, la gente. Irene
spostava la scaletta velocemente. Ogni angolo le era noto, anche la poca
polvere sfuggita al rito mattutino. E' noiosa, la gente. Vuole pagine
scacciapensieri, insiste. Dick guardava Irene saltare come una cavalletta e,
alle volte, ridere di nascosto, nascondendo il suo viso con le copertine
variopinte di alcune riviste di moda.
E' indifferente, la folla, mandria in fuga. Carlo si sentiva colpevole e deriso. La folla appariva come in vecchio film dalle inquietanti sequenze. Ma lei, Irene, era carne, e quando Carlo la strinse al petto, al culmine di un incontro dettato da leggi misteriose, provò un'emozione violenta, una tensione capace di straripare in un pianto liberatorio.
Il
fascino del sommerso affascinava la mente di Carlo. Le idee affluivano nel suo
cervello come fiume in piena.
"
Ho sostenere le mie cose, darmi
un'identità, per non cadere nel pozzo della follia, perché gli altri non ridano
di me", diceva a Irene.
"
Ti porti dietro le croci del tuo mondo, che ti vuole risorto lontano", le rispondeva
dolcemente.
Capiva
il suo uomo, lo sollecitava a fuggire i ricordi custoditi con gelosa memoria.
"
Non negare il tuo mondo, Carlo, il mondo sei tu".
Carlo
si muoveva con l'ansia di chi aspetta la preda: una trappola vicino al pollaio,
un'altra nei pressi dell'uva matura, sotto l'albero di noci.
Tutto
è pronto. Immagina gli amici. Varcano il portone della libreria: le strette di
mano, la forte emozione che crea la
solidarietà!
"
Non sopporto che la gente sfugga al dialogo. tento il rapporto, io. Non
sopporto la mia esclusione. Io tento costruirmi, mi limo, mi voglio pulito,
depurato al massimo. Non mi nascondo più, io”.
Nadia
alzò gli occhi verso il soffitto giallo-paglia. la sigaretta, quasi spenta, le
stava incollata alle dita per abitudine più che per desiderio. Da ore stava
seduta sul divano di finta pelle. Il mangianastri girava a vuoto. Il suo
compagno era in ritardo, forse anche lui stava ascoltando musica divina. Si
alzò a fatica, le venne da vomitare. E da piangere. Una sozzura marrone sporcò
il water bianco-panna. Le persiane chiuse impedivano la luce. Ma Nadia si
muoveva come se la stanza fosse illuminata a festa. Tutto è fermento, fuori,
camminano in fretta anche gli autobus. Dentro l'atmosfera ristagna. attimi
eterni.. Nando scese le scale senza fretta. Nadia non gli domanda nulla. Nando
va in cucina, alza il coperchio della pentola. Guarda la fuga di vapore. Non lo
invidia. Dura solo pochi attimi.
Nadia,
pomeriggio, sarebbe andata da Carlo, in libreria. Nando pensava ad altro. Una
zampata alle luci multicolori che gli calpestano gli occhi. A Nando fregava
poco del coperchio, come pure del vapore.
La
città aggrediva Nadia ad ogni sua uscita. camminava svelta.
"
Ciao maratoneta!", la stuzzicava Carlo mentre lei si infilava in
libreria con un ultimo scatto vincente.
"
Che ti sfotti, stronzo di un calabrese!".
Nando
trasferì i suoi pensieri su pianure desolate. Cercava un coltello per recidere
la corda che bloccava i suoi freni inibitori. Immaginava il taglio, netto,
preciso. E la liberazione dal dramma. Ma
venne calpestato da una folla in odore di linciaggio. Vide una forca: alta,
mostruosa nella sua forma statuaria. meglio uscire all'aperto. Mentre
scendeva le scale, Nando sentiva il
cappotto pesargli come una montagna. Le trombe della scale: il tonfo, leggero,
senza testimoni. Liberatorio.
Anche
Fabio, pomeriggio, sarebbe andato in libreria. Pure Ada, Tommaso e Gianni Necchia. Il fumo delle
sigarette creava una nuvola bianca e
fitta. Carlo teneva banco.
"
Attenti all'inganno, amici, La letteratura ci appartiene, non lasciamocela ai
giocolieri della parola".
"E'
setta, la nostra. Non serve a niente avere scoperto l'inganno. Ci condanna la
nostra impotenza. Meglio entrare nella stanza dei bottoni, meglio",
replicò decida Nadia.
"
Sei stanca, è evidente", le ripose Carlo.
"
Stanca di rimanere isolata, forse. Il rischio che corriamo h quello di rimanere
stritolati dal silenzio del potere editoriale. tale evento potrebbe rivelarsi
fatale".
"
Non male come proposta, ma ci sputtanerebbe", concluse Carlo alquanto
infastidito. La libreria somigliava sempre più a un bunker. Una guerra
silenziosa, col nemico alle spalle, pronto a colpire. Carlo era concentrato
nella costruzione di dispositivi di difesa contro la nuova angoscia. Il nemico
lo avrebbe assediato a lungo. Avvertiva il suo respiro, le sue provocazioni
d'assaggio, i suoi sguardi maligni. Guai a farsi sorprendere disarmati, guai.
Lentamente, con pazienza ossessiva, ricominciava il tentativo di creare
attraverso la parola scritta nuovi strumenti di contatto con la realtà, per
penetrare nel mondo fascinoso dell'inconscio, per premere il tasto che porta alla
luce. Vi si immergeva esplorando i fondali più bui, memorizzando le più piccole
forme, i brevi lampi di luce emanati dall'enorme schermo nero. Gli
ingranaggi che portano
al linguaggio-voce. L'ansia della ricerca lunga e spasmodica, e poi
l'inchiostro, con violenza, sulle pagine bianche. Lavorava lontano degli aggettivi
mielosi che, prima, rendevano le sue pagine ridicole parodie di temi già in
uso. Il suo linguaggio, ora, disegnava un tracciato dove tutto obbediva a una
logica rigorosa. Non una virgola sopportava l'esclusione dal dettato generale
dell'opera, che gira attorno all'asse centrale di sostegno. Non più lo
scrittore a narrare i personaggi, ma loro, gli eventi, a narrare l'artista.
Le
palpebre di Irene, semichiuse. La paura del vuoto, dei volti sorridenti della
gente in festa. Anche la radio aveva smesso di gracchiare. Le tende, ormai
logore, lasciavano filtrare la luce del giorno. Un'imprecazione, poi di nuovo
il sonno. Avanzano i cavalli bianchi e i
cavalieri. Il più bravo di questi si diverte a insultare i rivali. Una partenza
fulminea. Corri cavallo, corri. Irene si sveglio d'un tratto, tutta agitata e
sofferente.
"
La depressione nasce da una caduta dell'autostima", disse a Carlo il
neurologo a proposito della crisi che avevano nuovamente avviluppato la sua
compagna.
La
resa di Irene, definitiva. Incollata
alla poltrona , con gli occhi sbarrati, e i farmaci, a mucchi.
Nadia
voleva andare in India.
"
E' una stronzata", le disse Carlo.
"
Meglio stronza, che eterna illusa".
"
Cerca in te la verità, direbbe il filosofo".
"
Sono stanca di teorizzare la vita. Ho voglia d'amare, io".
"
L'amore, che bel mistero!".
"
Lasciamoci andare, è tempo di godere".
" E' pura pornografia".
"
No, è solo un umano desiderio".
"
E di che?".
"
Di te, stronzo, non l'avevi capito?".
La rigidità del
corpo di Irene, ormai mummificato. Solo di rado lasciava il letto-trappola.
Apriva l'armadio. Gli abiti dai colori vivaci le ricordavano giorni ormai
lontani, frammenti di vita felice.
La
diaspora, inaspettata, degli amici di Carlo, tutti in viaggio verso la "
Mecca" del successo. Anche Nadia. E senza una parola chiarificatrice, in
silenzio.
La forza possente
del tradimento, le sue coltellate ai fianchi. Il peso dei palazzi, le minacce
dei balconi, pronti a ospitare l'accusatore di turno. Solo. Dunque era vero: la
pelle dell'uomo poteva essere lacerata d'un tratto, come la follia. Carlo
pensava al suo arrivò in città. Voleva sfuggire gli occhi maliziosi del paese.
Erano belle, le donne che in bicicletta passeggiavano per i viali, ridendo di gusto dopo avere visto un
film al cinematografo. Era bello sapere che nessuno ti avrebbe aspettato dietro
un angolo buio per toglierti la possibilità di sognare.
Anche Luigi aveva
smesso di sognare. E da tempo. Carlo si sentiva in colpa nei suoi confronti. Ma
non avrebbe mai commesso l'errore di vederlo prostrato dalla follia, in pianto
per una sigaretta negata, delirante per una foto di donna nuda dagli occhi di
ghiaccio.
La
mia bella lascia cadere
sulle
spalle i suoi capelli d'oro.
E
la mia mano li stringe
in
una carezza eterna. (Luigi)
Irene
viveva le sue giornate in silenzio, immersa in un oblio eterno, dove il tempo
veniva scandito da piccoli desideri: caffè, biscotti, sigarette. Poi niente.
Luigi
era uscito di senno a vent'anni. Amava la poesia e Giulia, la sua musa.
La mia bella va alla fontana
movendo il suo corpo
in armoniosa danza. ( Luigi)
La
rincorreva nei sogni, tra le pieghe meno rivelate della sua fantasia velata di
oscure minacce, perfidi inganni.
Sul
mio cavallo alato
farò salire la mia bella.
E assieme le vie del cielo
solcheremo.
( Luigi)
E'
duro sentire gli occhi indiscreti della verità scavare su ogni lembo di pelle,
percorrere, con cinismo, gli spazi più angusti della mente. Carlo costruiva
frecce avvelenate che partivano dal suo cervello e andavano a colpire come lama tagliente il
volto arido del nemico.
Ma
quando si trovò sul balcone intento a inveire contro il mondo e le sue leggi,
provò solo un lieve disagio, poi, come sostenuto da forze nascoste, tornò in
camera, certo di avere trovato qualcosa di vitale.
La
piccola donna-lumaca
striscia
la lingua sul pavimento.
Suo
figlio risorgerà, vedrà la luce
del
giorno, il suo viso di donna
angelicata. (
Luigi)
Irene
gli chiese del caffè. Carlo le accarezzò i capelli, soffermandosi a guardare i
suoi occhi innocenti. il suo viso di
“madonna bizantina”.
Nessun commento:
Posta un commento