giovedì 11 aprile 2013

Trasformiamo il mondo degli anziani non in un esercito di reietti ma in strenui difensori della natura, diamo loro il privilegio, per dirla con V. Shiva, di correre “nella foresta ad abbracciare i tronchi che i tagliatori stanno per abbattere".


Le ultime proiezioni demografiche mostrano che un po’ tutta la popolazione mondiale sta invecchiando. Infatti, tranne i soliti paesi (Africa, Cina, Asia) che producono figli senza curarsi- almeno per ora- delle teorie di Malthus, il resto delle nazioni, specie quelle europee, viaggiano verso la crescita zero,  che non lascia ben sperare per il futuro.
L’Italia presenta il triste primato di un trend demografico tra i più bassi d’Europa, e gli anziani costituiscono quasi i due terzi della popolazione: individui indifesi che rischiano più che in passato ondate denigratorie ed emarginanti.
Vi é il pericolo che i nostri governanti (e non solo i nostri) decidano di buttarli, gli anziani, da una qualsiasi rupe, o, in mancanza di questa, da un qualsiasi balcone condominiale.
Ciò induce a  immaginare moderne squadre di monatti concentrati a “bonificare” la società dalle scorie umane (gli anziani!) che vorrebbero vivere un po’ all’aria aperta, poter passeggiare per i parchi delle città. Non si tratta di un mero paradosso, di una sterile provocazione. E’ un pericolo reale, purtroppo. Viaggiamo verso un tipo di società in cui l’uomo può non essere utile ad un tipo di organizzazione sociale dai contorni sempre più morbosamente oligarchici. Tale scenario apocalittico è costituito da un possibile esercito umano ridotto a “larva umana”, costretto ad una emarginazione da profughi, ed anche in ambito culturale in pochi hanno avvertito tale drammatico mutamento. Pure in ambito politico si è stati più attenti al dato economico che non agli effetti socio-culturali di un’epoca che tutti  s’affannano a definire post-industriale e/o post-tecnologica.
Primo Levi, nel racconto Trattamento di quiescenza, scritto nel lontano 1966, ha saputo intuire la forza persuasiva di una certa tecnica, prevedendo con largo anticipo le forme quasi ipnotiche di quanto oggi chiamiamo “realtà virtuale” (“realtà simulata”), sofisticatissimo mostro dell’informatica capace di imitare non solo l’amore, ma anche la morte. “Ma la saggezza di Salomone - scrive Levi- era stata acquistata con dolore, in una lunga vita piena d’opere e di colpe; quella di Simpson è frutto di un complicato circuito elettronico e di nastri a otto piste, e lui lo sa e se ne vergogna, e per sfuggire alla vergogna si rifiuta nel Torec. S’avvia verso la morte, lo sa e non la teme: l’ha già sperimentata sei volte, in sei versioni diverse, registrate su sei dei nastri della fascia nera”.
Di recente si è ricominciato   a parlare,  del cosiddetto  tempo di non-lavoro, “quel tempo dovuto alla forte contrazione dell’area della popolazione industriale, ovvero quell’attività che ha forgiato in profondità, nel bene e nel male, la nostra società e la nostra cultura”. (R. Giovannini). Tuttavia, anche se il pericolo incombe,  non siamo giunti ad un punto di non ritorno. Si tratta di capire, però, che ulteriori rinvii portano  ad una società divisa in persone “necessarie” (tutti coloro che sono inseriti nel mondo del lavoro) e persone “non necessarie” (anziani, disabili e/o diversamente abili,  disoccupati…. etc.), con nel mezzo una sorta di limbo costituito da una discreta fetta di intellettuali in cerca di lavoro (laureati e diplomati).  Certo, l’era industriale/tecnologica non va demonizzata (in molti casi ha sollevato l’uomo dalla fatica ) ma non sempre ha condotto gli uomini verso la strada della “felicità”. Il ritmo della vita odierna è divenuto più che parossistico, porta ad una folle corsa verso il profitto, alla competizione. Si parla di nevrosi, stress, anoressia, aumento di suicidi, droga, prostituzione, malaffare, mafia, corruzione ecc. Tutti elementi, questi, che rendono i giovani facile bersaglio della noia e quindi della disperazione. Hanno tutto e quindi nulla, scaricano nella fuga la loro ansia di vita repressa, questo male oscura che li (ci) trascina inesorabilmente nel tunnel dell’angoscia esistenziale. Rifiutano con forza il modello educativo della famiglia, contestano duramente le scelte dei genitori, divenuti giocoforza capro espiatorio dei loro drammi. I giovani- detto un po’ poeticamente- e che hanno la fortuna di avere  nonni  in vita, non sempre ne “approfittano” per allontanare la solitudine, disconoscendo in tal modo  le forme di un mondo ancora legato a ritmi di vita umani, privi della malizia d’oggigiorno. Ma è solo per questi motivi che la società dovrebbe occuparsi degli anziani? No, si tratta di comprendere che, nonostante l’età, gli anziani mantengono comunque un ruolo attivo (utile) in seno al corpus-sociale, costituiscono una risorsa preziosa. Essi, però, rischiano d’essere emarginati dalle nuove leggi del profitto e, non potendo essere “riconvertiti” (“riciclati”) nel lavoro produttivo, saranno condotti a viva forza in cima ad un secondo monte Taigeto. Faccio una proposta: trasformiamo il mondo degli anziani non in un esercito di reietti ma in strenui difensori della natura, diamo loro il privilegio, per dirla con V. Shiva, di correre “nella foresta ad abbracciare i tronchi che i tagliatori stanno per abbattere”.  
E’ la nuova Sparta che bisogna combattere, infatti

 





                                     
                                                              

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