Di Vincenzo Stranieri
Il cielo comincia dal basso, romanzo di Sonia
Serazzi, Rubbettino 2018, è una storia corale in cui l’autrice rivela un
impegno creativo privo di sterili rimasticature, distante dalle norme di base
del fare romanzo. Potrebbe sembrare - a una lettura superficiale- che tutto
giri intorno all’io narrante e al suo naturale alter ego (Rosa Sirace) e che il
resto rimanga imprigionato nell’angusto spazio- se pur utile- della subalternità. Così non è. L’autrice,
infatti, narra dal di dentro il suo mondo (interiore e fisico), ne fa parte a
pieno titolo, i cosiddetti altri sono
importanti perché riempiono la sua
vita di miti e sogni. Cosicché la sua scrittura delinea le tappe più rilevanti
dell’esistenza controversa dei numerosi protagonisti della sua fatica
letteraria. Una saga familiare che assorbe
la storia antropologica di quanti chiamati ad avere il ruolo sul palcoscenico
creativo dell’autrice, e che carpisce
per custodire quanto accaduto e accadrà al suo cospetto, nel tentativo riuscito
di dare chiara luce alle genti che s’incrociano con la sua vicenda. Una tecnica
narrativa non facile ma ben riuscita.
Tanti microcosmi sotto un’unica regia,
che agisce per conto di un impegno prima di tutto poetico (“Ma un giorno io ho dichiarato d’essere pronta a scodinzolare nel
vento, pur di non perdere il cielo di vista”), ) con l’intento precipuo di conoscere e
sorreggere la memoria di comunità in
estremo affanno demografico. Il luogo dove ha deciso di vivere Rosa è un piccolo paese del Sud, infatti.
“In quel preciso momento sentii d’amare il
Sud
perché ti lascia
campare senza chiederti nulla,
come una
melanzana viola
nei campi rossi
di tramonto”.
L’incipit
anticipa in qualche misura il viaggio narrativo della Serazzi. “Antonia Cristallo, mia nonna, dice che noi
fummo sempre poveri e mai tamarri”.
E’ vero, è un
Sud povero legato alle antiche norme della civiltà contadina.. In questo mondo sospeso
tra tradizione e modernità ritorna Rosa Sirace, dopo avere concluso gli studi
universitari a Perugia, ma il capoluogo umbro ha lasciato in lei tracce
marginali perché ella sente battere nel suo cuore la città alle pendici del
Vesuvio, la Napoli dove da piccola andava a trovare nonno Giuseppe Sirace.
Una città dai forti contrasti culturali e
antropologici che ha molto influito sulla sua formazione e che vengono anch’essi
catapultati nel microcosmo calabro eletto a solido domicilio. Tutto è autobiografico,
anche quanto non realmente vissuto fisicamente, l’importante è quello che si
vive con l’animo, l’autrice narra- come anticipato- dal di dentro una Koinè che ancora intende resistere
ai tumulti sociali della cosiddetta
modernità.
I
capitoli sono introdotti da citazioni bibliche pertinenti quanto allusive.
Di
certo Sonia Serazzi è un’attenta studiosa della Bibbia, che elegge a guida spirituale
sia quando si rivela atto d’amore (“Siederanno
ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e più nessuno li spaventerà,
poiché la bocca del Signore degli eserciti ha parlato” ), sia quanto ammonisce
e condanna (“I sazi si sono venduti per
un pane, hanno smesso di farlo gli affamati”).
Ma
la scrittrice, nel corso del suo narrare, lascia trasparire anche un
“necessario” atteggiamento laico, lasciando che
le tessere narrative traccino i tratti psicologici più salienti dei pochi abitanti rimasti in
paese, nonché quelli dei suoi familiari più stretti, senza caricare i
protagonisti di uno spirito religioso pervasivo o caritatevole.
Capitoli
medio brevi bisognosi di spazio, d’ossigeno puro. Da qui, all’occorrenza, una
certa distanza tra i diversi paragrafi,
in sé racconti già definiti.
Pregni
di sottile ironia e affettuoso sfottò sono i nomignoli appiccicati ad alcuni
stretti familiari. Nicca Fiori, madre della protagonista, alias Baronessa di
Barbamannu, Guido Sorace, il padre, alias Il
Viscontino di Verolea, e poi il nome vero della nonna, Antonia Cristallo,
che potrebbe ugualmente sembrare un nomignolo, donna dal carattere coriaceo,
che pretende- forse a ragione- di avere un ruolo pedagogico nei confronti
dell’amata nipote che incorona come Rosasua.
E poi i vicini di casa, gli amici, alcuni
dei quali provvisti di nomignoli calzanti.
Ma
è un mondo in decomposizione, purtroppo. La Serazzi, pertanto, ha fretta di
salvare memorie, di riempire il suo onesto taccuino di fatti, vicende in grado
di restituire corpo e carne ai protagonisti della sua terra, un mondo pregno di antico sudore capace di preservare e
trasmettere dignità e forza d’animo.
“La
Baronessa di Babbumannu è convinta che la povertà debba tacere, altrimenti diventa una corona di pidocchi: sozzura
in mostra che devi grattare lo stesso da solo
Un
romanzo da leggere senza fretta, assaporandone il ritmo interno, la scrittura
originale dove tutto è conoscenza e voglia di vivere.
“Così ho imparato che la vita è andare per
qualcuno che ci guarda”.