"LA RIVIERA", DOMENICA 29 NOVEMBRE 2021, PAG.14
A partire dagli anni ’80, Saverio Strati avverte l’esigenza di rivedere lo stile del suo linguaggio e, conseguentemente, anche le tematiche di fondo. Fino ad allora, tranne che nei romanzi IL Nodo,1966, nei racconti Il Visionario e il ciabattino,1978, e in L’uomo in fondo al pozzo,1989, ultimo suo romanzo pubblicato da Mondadori, la tematica centrale è stato il Sud, i suoi problemi secolari, le sue rinunce, le sue ataviche maledizioni sociali. E in questo è stato concreto quanto originale, impegnandosi alacremente nella costruzione di una lingua popolare apparentemente semplice ma, cosa alquanto rilevante, mai consolatoria. Strati costruisce, elabora un tessuto lessicale che nei suoi numerosi romanzi porterà in auge il Meridione, le sue albe e suoi tramonti, i colori di una terra protagonista di occupazioni secolari e quindi ancora alla ricerca di una sua identità unitaria.
Di fronte alle porte chiuse di Mondadori, suo editore fino al 1989, Strati si sente tradito, ha bisogno di esprimere il suo pensiero, le sue idee letterarie. Nel frattempo dà luce a un diario molto intimo (Tutta una vita) datato 1991, che sarà pubblicato postumo nel luglio 2021, presso Rubbettino, grazie all’interessamento costante di Palma Comandè, scrittrice e nipote dell’artista Il testo reca la lucida prefazione di Vito Teti e la nutrita postfazione di Pasquale Tuscano.
Pino, protagonista del
romanzo, appartiene a una famiglia benestante meridionale che si occupa di
costruzioni edili. Il clima familiare è tranquillo e il giovane sogna di vivere
l’esperienza universitaria in una grande città del nord (Milano) dove, in
effetti, studierà architettura e non ingegneria come avrebbe preferito suo padre.
Gli studi universitari non gli comportano serie privazioni economiche ma anzi un
benessere dignitoso.
La città di Messina riserva
al giovane amori poco duraturi ma
comunque piacevoli e degni di nota. La città dello stretto, anni ’50, si è in
parte ripresa dal disastroso terremoto
del 1908 e offre una buona Università. Ma Pino sogna l’architettura e le
bellezze museali delle grandi città del
Nord, ha bisogno di lasciarsi alle spalle la provincia, i limiti del paese
d’origine.
In alcuni momenti sembra incarnare la vicenza umana di Rocco, protagonista folle de “L’uomo in fondo al pozzo”(1989). Entrambi sognano la fama, ma solo Pino, provvisto di una mente lucida e razionale, potrà godere del successo, seppur gravato da tante disillusioni sentimentali. Le donne, infatti, rappresentano eros e bellezza senza tempo, simboleggiano un mondo conchiuso, un abisso dei sensi incomparabile. E questo nonostante quasi tutte le donne che hanno conosciuto e amato Pino ne denuncino il suo apparente cinismo.
Non è stato semplice scrivere di
questa fatica postuma di Saverio Strati (S.Agata del Bianco 1924- Scandicci,
luogo d’adozione, 2014).
I personaggi sono tanti, come pure
i protagonisti. Pur tuttavia, va detto
che lo scrittore muove i suoi
personaggi/ pedine con la stessa abilità dei giocatori di scacchi. Soprattutto
le prime 50/60 pagine aggrediscono il lettore, quasi lo disorientano, lo
sollecitano ad alimentare meraviglia mista
a stupore. E questo perché non ci si aspettava uno scrittore prezioso
custode d’intimi segreti, testimone di
vicende particolari che andavano riversate a futura memoria sulla pagina bianca. E questo senza particolari pudori. Le vicende
amorose,infatti, esprimono una particolare voluttà, desideri ancestrali che
danno priorità alla carne rispetto alle semplici
emozioni dell’animo.
Cosicché ci si trova di
fronte a un’artista che ha ormai messo da parte gli strumenti stilistici di un
tempo dando particolare rilevanza ad una sorta di spazio-tempo mentale capace
di stabilire un rapporto originale con
i ricordi, la memoria di quanto accaduto
nel corso di una vita lunga quanto laboriosa. La circolarità del tempo, del
pensiero che si aggancia al presente-passato-futuro, con l’aggiunta di riflessioni che l’io
narrante rivela al lettore hic et nunc e
che, naturalmente, non sono percepibili dalle figure di primo piano o anche
secondarie scelte all’uopo dall’artista.
Quasi un ventaglio della memoria che registra
tutta una vita, appunto. Strati visiona in modo quasi morboso i dati della sua
attuale esperienza con i numerosi avvenimenti del passato, di cui ha memoria
viva e che ha conservato gelosamente in una sorta di scrigno fortunatamente non
più privato.