09 febbraio 2017
Morire è molto semplice, difficile- spesso impossibile- è
vivere nell’alveo di una società (tutti noi) poco premiante, sorda alle
richieste d’aiuto dei giovani. E sì che hanno strasudato, i giovani, per
diventare uomini pronti ad occupare un giusto ruolo nel mondo del lavoro, disposti
a esprimere una professionalità fresca e
degna di essere messa alla prova. Mi ha molto colpito la lettera di Michele (
30 anni, suicidatosi l’altro giorno, pubblicata sul “Il Giornale”), che ha
deciso di lasciare il mondo terreno perché nessuno l’ha aiutato a trovare un
lavoro, a sfuggire ai giorni privi di prospettiva, a dipendere in tutto dai
suoi genitori, persone splendide distrutte dal dolore . Michele aveva tanta voglia di vivere, ma le delusioni, tante
e ingiustificate, hanno lacerato il suo giovane cuore, demolendo la fiducia in
se stesso e negli altri
I genitori hanno chiesto che la lettera del
figlio fosse pubblicata integralmente dal Messaggero Veneto . «Perché questo è
un allarme rosso, un grave fenomeno sociale, che lui ha voluto denunciare».
PRECARIETA'
La lettera di Michele
pubblicata da “il Giornale”
Ho vissuto (male) per trent'anni, qualcuno
dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i
limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.
Ho cercato di essere una brava persona, ho
commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e
uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un'arte.
Ma le domande non finiscono mai, e io di
sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi
senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come
grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l'altro genere
(che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di
chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza
averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza
aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di
fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da
parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
PRECARIATO
Tutte balle. Se la sensibilità fosse
davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e
mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta
la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni,
insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta
normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa realtà non si può pretendere
niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati,
non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere
la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest'ultimo proposito, le cose per voi
si metteranno talmente male che tra un po' non potrete pretendere nemmeno cibo,
elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il
futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare.
Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
Non è assolutamente questo il mondo che mi
doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne
parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di
punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
NO AL PRECARIATO JPEG
Non ci sono le condizioni per impormi, e io
non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò
che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c'entro nulla con tutto
questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere
lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di
cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile.
Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a
mia disposizione.
PRECARI RAGAZZI CON LA MASCHERA JPEG
Di no come risposta non si vive, di no si
muore, e non c'è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non
sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un'epoca che si
permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è
inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni
tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l'alternativa al
soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno
diventare un obbligo, e io l'ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e
di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio
questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c'è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona
libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un
po'. Basta con le ipocrisie.
GIULIANO POLETTI
Non mi faccio ricattare dal fatto che è
l'unico possibile, il modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti
con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto
di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste
niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero
arbitrio obbedisce all'individuo, non ai comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi sembra una
follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non
ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza sì, e il nulla
assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo
destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma
ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c'era caos. Dentro di me
c'era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della
felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei
momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie
origini, ma un'accusa di alto tradimento.
30ENNE SUICIDIO LETTERA
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui
sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto.