Il volume di poesie, La parte dell’occhio, di Marina Rezzonico, Puntoecapo Editrice, 2022, è composto da 7 sezioni i cui versi riproducono un tessuto linguistico alquanto unitario.
E’ anzitutto un corposo spazio dell’anima, una preziosa configurazione geografica insita in un passato/presente che mai deborda in vittimismo o invocazioni nostalgiche.Per primo è stato il
porto:
moli di traffici e di
industria.
Se ci fossi nata, del
mare avrei serbato
Il suono di sirena,
lago di partenze, di
umane distanze,
asilo di ogni arrivo.
Poesia narrata (ossimoro voluto) per non allontanarsi dal ricco bagaglio umano-culturale donatole dai luoghi fisici (Ticino, Liguria e Toscana) in cui l’artista ha vissuto e si è formata, e che ben si coniugano con quelli interiorizzati nel corso della sua vita.
I luoghi,
quelli vissuti e/o quelli ricostruiti per mezzo della memoria, producono
continue rivisitazioni che trovano uno spazio preciso nella mente della poetessa,
anche quando sovviene un certo timore e la natura sembra custodire segreti ormai
perduti.
Le radici non attecchiscono
per caso. Richiedono lo
scavo
delle generazioni.
Senza storia prevede
successive abrasioni
di ogni segno di
riconoscimento.
Una poesia anche, se non soprattutto, “descrittiva”, esplicativa dei diversi spazi della memoria che, cosa non secondaria, non si sovrappongono al mondo intellettuale che li contiene.
Ho fatto avanti indietro
Tra pioggia e sole.
Ci ha fatto stanchi,
svogliati.
Chiusi entro casa
a lasciare accartocciare
i giorni e le parole:
profani signori
alla corte del tempo.
Luoghi
fisici e luoghi dell’anima dove l’elemento lirico tout court è sostituito dall’occhio
vigile dell’autrice; e dal quale, forse, nasce La parte dell’occhio,
ovvero quella porzione di sguardo che, anche da solo, è in grado di cogliere le
migliori fattezze dell’umana esistenza.
Preparo una rete
per catturare con gli
occhi
Il mio nome
In volo nell’aria.
La mia vita intera.
Sono numerosi i versi che compendiano
questa particolare opera poetica. Tradizioni ormai scomparse, utensili ormai in
disuso, ritmi di vita vorticosi e per questo quasi disumani.
Si fissava il telaio,
con una molletta,
uno strappo di carta.
E nell’andare, il fruscio
simulava il volare.
Dall’alto, guardavano il
mondo.
Il rammarico pesa, non
poteva essere altrimenti, nel pensiero dell’artista, i forsennati mutamenti
socio-culturali aggrediscono la sua sensibilità, il corpus intellettuale
che li contiene.
Ogni avventura deposta,
lasciata fuori,
a tendere il suo agguato.
Silenzio.
Sguardo traverso
Sul presente disabitato.
In conclusione, ma molto
altro nasconde questo robusto testo
poetico, va ribadita l’originale capacità della Ns artista d’intrecciare il suo
mondo ideale- poetico con il cosiddetto mondo reale; quest’ultimo ancora somigliante,
per fortuna, ad uno scrigno ricco di sentimenti veri.
Cerco ancora una terra da
esplorare?
Una pietra da tirare,
una zolla da falciare,
una pervinca da cogliere?
Cerchi la tana dove
riparare?