Lettera a Giuseppe Melina
(che per tutta la vita ha percorso la strada impetuosa dell’arte)
Il tempo ha perduto le ore. Verrà il
giorno. Entrerò nel cielo da una bassa porta. Sarò nella resurrezione con flauti e leggerò la vicenda-romanzo.
La grazia della zagara chiuderà l’onda breve della vita. E noi ( io, te amico lettore e tutti i convocati) ci allontaneremo dal disordine delle immagini e resteremo parola.
Resto solamente tempo. Lo spazio sarà cancellato dal sorriso di Dio.
(Francesco Grisi)
Caro amico,
fortuna che hai deciso di lasciare il mondo terreno in un tempo che ti ha impedito di assistere alle scene crudeli dell’11 settembre scorso, data da segnare per sempre nel calendario negativo della storia umana, perché, tutti dicono, rappresenta una svolta epocale nei rapporti tra gli uomini e le “diverse”, non necessariamente contrapposte, realtà di cultura.
La follia omicida ha voluto inaugurare alla grande il nuovo millennio e tocca combattere il terrorismo con tutti i rischi che la cosa comporta: incertezza di poterlo fare in tempi brevi e definitivamente, alto rischio di provocare la morte di civili innocenti.
Hai sempre detto, specie negli ultimi anni della tua feconda solitudine, che questo mondo non t’apparteneva, perché troppo legato alle ferree leggi dell’economia, proteso a cancellare le tracce di qualsiasi umanesimo, ormai preda di una tecnologia mistificatrice dei valori veri.
Non eri un rivendicativo, però, non lo eri da tempo.
T’infastidivano le lagnanze, le denunce allo Stato assente. Sapevi che il problema era l’uomo, la sua vocazione o meno a mutare il corso negativo della storia.
Davi potere ad ogni singolo uomo, non più massa, gregge belante, ma individuo in grado di guardare all’esistenza con occhio non più rassegnato.
Che tutto stava mutando in fretta, una fretta quasi parossistica, t’era chiaro da tempo, e ne soffrivi.