martedì 12 ottobre 2010
martedì 5 ottobre 2010
CORRADO ALVARO (S. LUCA 1895- ROMA 1956)
Fu una piccola scossa di terremoto, che si sentì in un solo paese, un paese povero e quindi trascurabile. I giornali ne parlarono in tre righe, e non riferiscono che Procopio aveva perduto sotto le rovine della sua casa lo stipo che era il solo mobile da lui posseduto fin dal giorno delle nozze.
C. Alvaro, Piedi nudi, in Il meglio dei racconti di Corrado Alvaro, oscar Mondadori, Cles, 1990, pag.69)
E’ vero che le cose presenti non ci interessano più, ma i pensieri, gli affetti, i dolori di ieri, vengono avanti nella memoria come violenze e ingiustizie…brucio tutto ancora come le pietre che buttano nella notte le vampe del giorno estivo.
domenica 3 ottobre 2010
Maria Multari (A cantunera), Caraffa del Bianco..........
Maria Multari, (A cantunera) era figlia di un addetto alla manutenzione delle strade provinciali della vallata La Verde. Abitava in Via P. di Piemonte, in una casa piccola ma decorosa. Fu madre di ben sette figli maschi; una famiglia numerosa che i coniugi Alecci (lo sposo si chiamava Domenico Alecci, uomo buono e lavoratore onesto) hanno portato avanti con enormi sacrifici ma anche con gioia ed amore, mai facendo pesare ai loro figli le non poche difficoltà economiche cui bisognava adempiere.
A cantunera era una specie di chioccia. Noi bambini frequentavamo la sua casa tutti i giorni; giocavamo con i sui figliuoli più piccoli (Pietro, Mario e Aldo), specialmente e nucigli, cu piroci, a libera, cu gialoffu, u palloni, ca carrozza i lignu. Non perdeva mai la pazienza, quando avevamo fame ci dava il buon pane fatto nei forni a legna, ci trattava come dei figli, insomma.
martedì 28 settembre 2010
L'ETA' MATURA DI SAVERIO STRATI
LA SUA ARTE E’ LA TESTIMONIANZA DI UN IMPEGNO LETTERARIO CHE AFFONDA LE RADICI IN UN MERIDIONALISMO PRIVO DELLE ANTICHE SCORIE A SFONDO POPULISTISTICO.
di Vincenzo Stranieri
Quando Saverio Strati tornava nella sua S.Agata con una certa regolarità, nella casa della mitica contrada Cola da dove ha avuto inizio il suo importante viaggio letterario, ero ancora troppo giovane per capire appieno l’importanza della sua opera. Nelle nostre brevi chiacchierate (anni ’70), mi colpivano particolarmente due cose: la rabbia positiva che animava la sua arte, l’amarezza, profonda, dello scrittore per la gelosia, la totale mancanza di solidarietà e di spirito di aggregazione che stavano/stanno alla base dell’arretratezza culturale ed economica della Calabria. “C’è sempre stato in Calabria uno spirito feroce di autodistruzione; la storia stessa della nostra regione ha questa terribile impronta”. La stessa gelosia, o ignoranza, che ha impedito, nel 1977, quando gli è stato assegnato il premio letterario Campiello per il romanzo “Il Selvaggio di Santa Venere”, alla gente del suo paese di esprimergli un augurio, un semplice gesto capace di testimoniare l’orgoglio nei confronti del “compaesano” riconosciuto ancora una volta scrittore valente, testimone e prodotto di una terra sì periferica e marginale , ma che, grazie anche ai suoi libri, poteva cominciare anch’essa il suo viaggio verso la cultura e dunque verso quel riscatto socio- culturale agognato da secoli.
Lettera a Giuseppe Melina (S.Agata, 16.03.1920-14.09.2001)
Lettera a Giuseppe Melina
(che per tutta la vita ha percorso la strada impetuosa dell’arte)
Il tempo ha perduto le ore. Verrà il
giorno. Entrerò nel cielo da una bassa porta. Sarò nella resurrezione con flauti e leggerò la vicenda-romanzo.
La grazia della zagara chiuderà l’onda breve della vita. E noi ( io, te amico lettore e tutti i convocati) ci allontaneremo dal disordine delle immagini e resteremo parola.
Resto solamente tempo. Lo spazio sarà cancellato dal sorriso di Dio.
(Francesco Grisi)
Caro amico,
fortuna che hai deciso di lasciare il mondo terreno in un tempo che ti ha impedito di assistere alle scene crudeli dell’11 settembre scorso, data da segnare per sempre nel calendario negativo della storia umana, perché, tutti dicono, rappresenta una svolta epocale nei rapporti tra gli uomini e le “diverse”, non necessariamente contrapposte, realtà di cultura.
La follia omicida ha voluto inaugurare alla grande il nuovo millennio e tocca combattere il terrorismo con tutti i rischi che la cosa comporta: incertezza di poterlo fare in tempi brevi e definitivamente, alto rischio di provocare la morte di civili innocenti.
Hai sempre detto, specie negli ultimi anni della tua feconda solitudine, che questo mondo non t’apparteneva, perché troppo legato alle ferree leggi dell’economia, proteso a cancellare le tracce di qualsiasi umanesimo, ormai preda di una tecnologia mistificatrice dei valori veri.
Non eri un rivendicativo, però, non lo eri da tempo.
T’infastidivano le lagnanze, le denunce allo Stato assente. Sapevi che il problema era l’uomo, la sua vocazione o meno a mutare il corso negativo della storia.
Davi potere ad ogni singolo uomo, non più massa, gregge belante, ma individuo in grado di guardare all’esistenza con occhio non più rassegnato.
Che tutto stava mutando in fretta, una fretta quasi parossistica, t’era chiaro da tempo, e ne soffrivi.
sabato 25 settembre 2010
INVICTUS
INVICTUS
Dal profondo della notte che mi avvolge
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dei chiunque essi siano
per l'indomabile anima mia.
Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.
Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’orrore delle ombre
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.
Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io Sono il signore del mio destino:
Io Sono il capitano della mia anima.
Invictus di William Ernest Henley
venerdì 24 settembre 2010
MASCHERE
MASCHERE
Gli atleti del successo
a tutti i costi s’alzano
di primo mattino,
gonfiano i muscoli del petto
come a darsi un contegno e,
quasi fosse cosa normale,
indossano una delle tante
maschere custodite
nei loro capienti armadi.
(Vincenzo Stranieri)
giovedì 23 settembre 2010
Intervista a Vincenzo Stranieri
lunedì 20 settembre 2010
Rocco Piteri (Caraffa del Bianco, 1913- 2003), contadino-soldato sul fronte russo
Rocco Piteri, contadino, ha partecipato alla seconda guerra mondiale combattendo duramente sul fronte russo. A 29 anni, nel settembre del 1942, dopo un viaggio lungo e inenarrabile, giunse nel luogo prestabilito. Qui partecipò alla definizione di un ospedale da campo che di già ospitava molti commilitoni feriti e/o con degli arti assiderati. Uno spettacolo terribile, che avrebbe accompagnato il Nostro per tutta la vita. Dopo tre lunghi anni di guerra, dove rischiò più volte la vita, fece finalmente ritorno nella sua amata Caraffa dove, poco tempo dopo, si sposò con Maria Cavallaro che gli diede due figlie, Maria Teresa e Angela.
1943, fronte russo. Rocco Piteri soldato a cavallo. |
Caraffa del Bianco, 31 marzo 1940, data rilascio carta d'identità a Piteri Rocco, a firma del Podestà Rocco Mezzatesta. |
Caraffa del Bianco, maggio 1993. Rocco Piteri in groppa al suo asino. |
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