LA SUA ARTE E’ LA TESTIMONIANZA DI UN IMPEGNO LETTERARIO CHE AFFONDA LE RADICI IN UN MERIDIONALISMO PRIVO DELLE ANTICHE SCORIE A SFONDO POPULISTISTICO.
di Vincenzo Stranieri
Quando Saverio Strati tornava nella sua S.Agata con una certa regolarità, nella casa della mitica contrada Cola da dove ha avuto inizio il suo importante viaggio letterario, ero ancora troppo giovane per capire appieno l’importanza della sua opera. Nelle nostre brevi chiacchierate (anni ’70), mi colpivano particolarmente due cose: la rabbia positiva che animava la sua arte, l’amarezza, profonda, dello scrittore per la gelosia, la totale mancanza di solidarietà e di spirito di aggregazione che stavano/stanno alla base dell’arretratezza culturale ed economica della Calabria. “C’è sempre stato in Calabria uno spirito feroce di autodistruzione; la storia stessa della nostra regione ha questa terribile impronta”. La stessa gelosia, o ignoranza, che ha impedito, nel 1977, quando gli è stato assegnato il premio letterario Campiello per il romanzo “Il Selvaggio di Santa Venere”, alla gente del suo paese di esprimergli un augurio, un semplice gesto capace di testimoniare l’orgoglio nei confronti del “compaesano” riconosciuto ancora una volta scrittore valente, testimone e prodotto di una terra sì periferica e marginale , ma che, grazie anche ai suoi libri, poteva cominciare anch’essa il suo viaggio verso la cultura e dunque verso quel riscatto socio- culturale agognato da secoli.