sabato 12 aprile 2014

Vincenzo Stranieri (Addio a Saverio Strati….. “l’Ora della Calabria”, sabato 12 aprile 2013, pp. 1, 35)



Saverio Strati è  senza alcun dubbio tra i più grandi scrittori italiani del Novecento. Essere nati in Calabria, serbarla nel cuore, amarla, tradurla in letteratura non vuol dire necessariamente essere solo calabresi. E’ vero che l’humus antropologico è quello in cui si nasce, ma è pure vero che quando uno scrittore è tradotto in diverse lingue, appassiona lettori di mezza Europa, allora vuol dire che ci si trova di fronte a valori universali. Strati, assieme a pochi altri grandi scrittori italiani (Calvino, Sciascia e qualcun’altro che mi sfugge) è presente anche nelle antologie americane. La provincia è una forma mentale e non un ambito geografico.
Strati nel narrare il nostro meridione narra il mondo.  Bisogna non cadere nei regionalismi tantomeno nei provincialismi. O si è scrittori universali o non si è niente. Nato in Calabria va bene, è la definizione, statica quanto auto lesiva, di scrittore calabrese che genera ambiguità e confusione. Questo, naturalmente, vale per qualsiasi artista che opera sul pianeta terra. Scrittore vero è chi ha un mondo da raccontare. E Strati  lo ha, eccome. Nel momento in cui  i suoi libri incontrano il lettore  la sua scrittura si spoglia dei connotati originari e dona ai suoi interlocutori le forme di un’umanità ricca di storia e di valori. Il  problema è il modulo stilistico, la struttura linguistica che ogni scrittore utilizza per non cadere nella trappola del già  detto e del già scritto. Strati è unico nel suo genere. Inventa (meglio costruisce) un linguaggio nuovo, tutto suo, e lo dà in prestito alla sua gente, ne diviene   voce narrante. Difatti, da semplice apprendista-muratore  diviene “glossa” della sua gente, cantore del bene e del male del Meridione, non facendo sconti a nessuno, soprattutto  a se stesso. Siamo tutti debitori di questo grande artista, mai domo, perennemente impegnato a  narrare la storia antropologica del nostro “maledetto sud”.“ Io l’amo profondamente la mia Calabria, ho dentro di me il suo silenzio, la sua solitudine tragica e solenne. Sento che pure qualcosa dovrà venire fuori di lì: un giorno o l’altro dovrà ritrovare dentro d sé ancora quelle tracce che conserva dell’antica civiltà della Magna Grecia”. Narrava dal di dentro, dicevano, il suo stile cesellava come pochi le forme della civiltà contadina, ne delineava le fattezze più remote, ne sollecitava la  vera conoscenza. Grande e appassionato era il suo amore per i poveri, i diseredati al punto da estremizzare al massimo il suo linguaggio, il suo stile iper-realista. La sua mente conservava una sterminata galassia  di personaggi: le vicende familiari, gli esiti di una semina, i tomoli di grano prodotti, le cattive annate dovute alla siccità o a  qualche improvvida alluvione.  Un amore viscerale profondo, quasi una ossessione implacabile. In quasi tutti i suoi romanzi, però, egli non poteva non denunciare il nostro cattivo modo di essere, la nostra cattiva voglia di migliorare le sorti socio-economiche della nostra terra. Sono “arrabbiature” sincere, non volevano accusare nessuno, intendevano spronare chi era immerso nel fatalismo, quanti non volevano/vogliono lottare contro lo status quo. Mentre il mondo cambia, si evolve, il meridione appare pietrificato. Mentre in altri lidi è giunta la primavera, nel Sud regna un inverno fitto, un modello sociale che intende perpetrare le antiche regole. Non è stato uno scrittore sfortunato, però. In quegli anni (anni’50-’60) il cinema era nel pieno della sua espressione neo-realista, i ceti popolari erano protagonisti di molte pellicole, e le cosiddette classi subalterne trovavano spazio e forma nell’alveo della cultura italiana. Cosicché anche la narrativa realista era acclamata di pari passo a quella cineasta. Anche la critica fu dalla sua parte. Ogni sua opera era recensita con favore e in numero notevole. Poi, però, Mondadori, la casa editrice che  aveva pubblicato la maggior parte delle sue opere, gli chiuse la porta.  Strati, conseguentemente,  va in crisi, comprende che il mondo di cui è stato testimone non riesce a trovare una collazione ottimale presso il vasto pubblico, nemmeno in quello calabrese. Si sente solo, abbandonato. Egli merita gratitudine e rispetto, perché- tra l’altro-  ha saputo dare dignità e fisionomia ad un mondo che, altrimenti, la cultura ufficiale avrebbe relegato ai margini, o, nella migliore delle ipotesi, trasformato  in mero folclore.­­­­­ La speranza è che il suo impegno non venga dimenticato, che le sue opere trovino giusta collocazione nelle scuole e nelle università. Me lo auguro tanto. Ma il  pessimismo, specie in una regione come la nostra, è più che mai d’obbligo.


sabato 22 marzo 2014

LA DONNE D'ASPROMONTE



Nel mondo rurale del secolo scorso la donna calabrese  lavora nei campi, cucina,bada agli animali domestici, cresce in figli. Così è stato per secoli, le donne d’Aspromonte  lavorano senza sosta, sudano copiosamente nel mentre trasportano pietre  e calce da utilizzare per la costruzione delle loro piccole case, sfidano le fiumare alle cui rive lavano e fanno asciugare panni, mettono a bagno le ginestra da cui ricaveranno grezzi vestiti e larghi  mantelli da offrire ai propri sposi .

giovedì 27 febbraio 2014

IL NEO-BULLISMO ("L'Ora della Calabria", martedì 25 febbraio 2014, pag.30).



E’ chiaro che il neo-bullisno è alimentato anche dalle forti sollecitazioni del web, della rete, insomma. L’importante (vedi- a esempio- la violenza subìta da una giovane studentessa di Bollate ad opera di una sua coetanea  tra l’indifferenza dei compagni presenti impegnati a  filmare  passivamente la grave aggressione) è che tutto corra sul filo invisibile del web, dove le informazioni  prendono strade multiformi.

giovedì 13 febbraio 2014

LA SOLITUDINE DELLO SCRITTORE SAVERIO STRATI ("inAspromonte", n. 6, Febbraio 201, pag.23 ).


Saverio Strati versa in condizioni di salute pessime. Non si fa trovare da nessuno, ha staccato il telefono, non comunica più con l’esterno. Probabilmente la caduta dalle scale (abita  in Toscana, precisamente a Scandicci, al IV piano di un palazzo privo di ascensore), avvenuta tempo addietro, l’ha debilitato  nel fisico e nel morale.
Spiace sapere di questo suo isolamento. Anche se ha quasi novant’anni,  è ancora lucido, ma forse non è più curioso, è depresso. 
Da circa quattro  anni usufruisce della Legge Bacchelli, un sussidio che gli consente di  continuare a vivere dignitosamente. Ma quando arriva la cattiva salute, quando non  si trova più la forza per scrivere, narrare il proprio mondo interiore tutto sembra immerso nell’oblio, non si ha voglia di andare avanti, di sperare nel futuro. Certi stati d’animo non tengono conto di quello che si è fatto in tanti anni di proficuo lavoro intellettuale,  alimentano l’amarezza, allontanano dalla creatività.
Non lo incontro da molto tempo, ormai. Ho avuto la fortuna e il privilegio di confrontarmi con lui quando ancora faceva ritorno a S.Agata del Bianco, suo amato paese natìo, precisamente in contrada Cola.

giovedì 6 febbraio 2014

NO AI GENITORI SINDACALISTI NELLA SCUOLA ( Il Quotidiano della Calabria, giovedì 6 febbraio 2014)


Povera scuola! Oltre ai tanti sindacalisti del settore stanno crescendo schiere di genitori che fiancheggiano i loro figli in dispute pseudo-pedagogiche sterili quanto pericolose.Gli insegnanti devono - oltre alle “intemperanze” degli alunni (schiavi di telefonini e similari, che tendono a portare anche in classe) sono  costretti ad interagire con genitori  che danno a priori ragione in tutto e per tutto ai loro figli, non capendo che la scuola è roba seria e che non la  si può  barattare concedendo ai loro amati figliuoli tutto e subito.
 Si, è vero, non tutti sono cosi, ma il loro numero sta crescendo a dismisura.

martedì 7 gennaio 2014

AMORE E INDIGNAZIONE NELL'ANTROPOLOGIA NARRATA DI VITO TETI ( L'Ora della Calabria, 7 gennaio 2014, pag.31).



Vito Teti è un uomo da sempre impegnato ad affinare -  con non poca tribolazione- la difficile arte della “restanza”, suggestivo neologismo da lui coniato nel suo recente saggio-racconto Pietre di pane (Un’ antropologia del restare), Quodlibet, Macerata 2011, dove appunto ci spiega che rimanere in paese ”… non è stata, per tanti, una scorciatoia, un atto di pigrizia, una scelta di comodità: restare è stata un’avventura, un atto di incoscienza , forse, di prodezza, una fatica e un dolore. Senza enfasi, ma restare è la forma estrema del viaggiare. Restare è un’arte, un’invenzione, un esercizio che mette in crisi le retoriche dell’identità locali. Restare è una diversa pratica dei luoghi e una diversa  esperienza del tempo”. 

venerdì 15 novembre 2013

CARTOLINE POSTALI E LETTERE ALLA FAMIGLIA DEL SOLDATO GIUSEPPE STRANIERI (CARAFFA 1921- FRONTE GRECO 1943)



 [… ] solo vi dico che non ci trova accua la dobbiamo comprare a due soldi il bicchiere e patiamo un po qua […].

Fammi sapere se hai ricevuto il vaglia di lire tre cento.
[…] fatemi sapere se vi siete messi a seminare. Sta  maledetta terra dove sono io non si vede niente […].

Caro Padre fatemi assapere se avete ricevuto qualche pacco che viò spedito un pacco contenente 41 pezzi di saponi cose che non mi sono messo addosso e che mi sono messo io forsi non li avete ricevuto mi dispiace molto, perché mi sono sacrificato 5 mesi di crudele cosa che desiderava il mio cuore se per caso lo ricevete mi lo fate assapere se no pazienza basta che ce la saluti altro tutto passa viò spedito un vaglia di Lire 186 non lavete ricevuto ò puro no[…]

O’ ricevuto una lettera dal vostro fratello Francesco di maglia che mi parlava che stati arando la terra considero come  vi  trovati  afflitto di lavoro ma io non posso fare nienti pemmia cosi à voluto la fortuna e cosi sia.

martedì 8 ottobre 2013

RICORDO DI PASQUINO CRUPI (Bova, 24 marzo 1940- 16 agosto 2013).

da IL QUOTIDIANO DELLA CALABRIA del 21 agosto 2013
                                                       
    Vincenzo Stranieri  
Casignana- 22 settembre 1972- Cinquantenario della strage- Pasquino Crupi
 ricorda-  con  viscerale  passione-  i tristi avvenimenti del 22 sett. 1922.



















Pasquino Crupi è  stato un intellettuale anomalo, un “calabrese”  che per l’amore viscerale verso la sua terra ha finanche rischiato l’insolenza altrui, nonché qualche giudizio negativo immeritato.

domenica 22 settembre 2013

GIOACCHINO CRIACO E IL POPOLO DEI BOSCHI-

da  “La Riviera”, domenica 30 giugno 2010 


                                     di Vincenzo Stranieri

Con Gioacchino Criaco, scrittore nato ad Africo (RC), la letteratura italiana ha inserito nel suo grembo un artista pregevole quanto inaspettato. “Anime nere”, romanzo d’esordio pubblicato da Rubbettino nel 2008, è divenuto, grazie al passaparola dei lettori, un caso letterario, facendo conoscere al grosso pubblico il popolo dei boschi, così Criaco ama definire i suoi pastori d’Aspromonte, che, con le loro gesta efferate, hanno, paradossalmente, contribuito alla conoscenza di un popolo ancora in fuga (Africo, paese aspromontano, a seguito dell’alluvione dell’ottobre 1951, è stato trasferito coattamente nelle lande desolate di un arido terreno adiacente capo Bruzzano, poco distante dal mare Ionio). Una diaspora che, per lo scrittore, sta alla base del demone delinquenziale che si è impadronito di un popolo per millenni abbarbicato sui crinali d’impervi costoni e che, per questo ed altro, stenta di darsi un’identità concreta.

“Caro Sisinio”, la lettera a Zito del 17 luglio 1994




di Enzo Stranieri
Non ho letto Eroi silenziosi di Angelo Jannone, Datanew, 2012, che narra i più importanti avvenimenti di cronaca italiana degli ultimi trent'anni. “La Riviera” di domenica 26 agosto u.s., p. 4, riferisce che Carlo Vulpio (vedi Corriere della Sera del 22 agosto 2012, pag.37) considera il volume in questione “un libro onesto”. Di certo è così. Ma spiace molto sapere che Jannone, nell’esercizio delle sue funzioni ( Ufficiale dell’Arma), per paura d’essere accusato di complicità geografica (è possibile dire così per chi vive e opera in Calabria?), pur convinto dell’innocenza del senatore socialista Sisinio Zito e di suo fratello Antonio, non seppe dire no, come lui stesso scrive, alla richiesta di sorveglianza speciale avanzata dalla Procura di Palmi per il fratello del senatore, pur certo che i due fossero estranei a ogni accusa. Il caso fa molto riflettere: un dolore incontenibile che ha radicalmente alterato la vita di due onesti cittadini. Ricordo che noi socialisti della Locride rimanemmo affranti, sconfortati, ma anche certi della completa innocenza dei nostri carissimi amici, nonché autorevoli compagni di partito. Ero affranto e arrabbiato, e ritenni giusto comunicare la mia vicinanza e il mio affetto a Sisinio e ad Antonio, scrivendo al primo, in data 17 luglio 1994, la lettera che segue:

Caro Sisinio,
il caso “giudiziario” che ha investito come un uragano te e Totò rivela aspetti più che kafkiani. Ne “Il processo” J.K. non conosce le ragioni del suo arresto. La forza coercitiva del Potere, alla fine, lo porterà a incolparsi di delitti mai commessi, a “morire come un cane”.