S.Agata del Bianco (Appunto del 14 marzo 1994).
Ieri osservavo mio figlio Federico (cinque mesi e mezzo) stringere tra le manine un foglio di quaderno che, dietro l’incalzare della piccola presa, produceva un lieve fruscio. Lo so, può sembrare assurdo soffermarsi su una scena di questo tipo. Ma il mio pensiero è andato subito ad occuparsi del significato delle cose. Certo, mio figlio, data l'età, non ha potuto razionalizzare il suo rapporto col foglio bianco, la sua curiosità era dettata più da un dato istintivo. Tuttavia, pure gli adulti cedono all’istinto e in nome del possesso delle cose commettono follie, dichiarano guerre fratricide, calpestano popoli inermi. Oggi, nel pieno fulgòre della civiltà dei consumi, siamo circondati, meglio invasi, da una quantità di oggetti in buona parte inutili. Nella civiltà contadina, invece, il valore degli oggetti era assoluto, doveva avere in sé il senso dell’utilità, ed era custodito come qualcosa di importante, per non dire vitale. Un recipiente di terracotta era vitale per dissetarsi, una giara doveva custodire l’olio per più annate. Viene in mente il romanzo “ L’uomo è forte ", di Corrado Alvaro, scrittore europeo nato alle falde dell’Aspromonte (S.Luca). Egli vi narra la coercizione dei sistemi totalitari. I personaggi sono immersi in un’atmosfera più che kafkiana, in un mondo dominato dal sospetto, dove tutto diviene colpa, anche l’amore. Il regalo di un’arancia grossa e succosa rappresenta l’elemento più “ umano”, ricorda la solarità e la limpidezza del mare, il calore culturale di un popolo contrapposto al grigiore cupo del Potere. Gli oggetti, dunque, non sono senza voce (senza volto), possiedono dei valori fortemente simbolici. Oggi, purtroppo, le cose sono adoperate come mezzo di rappresentazione (status symbol), come strumento per affermare in modo “ forte” la propria presenza. Federico, intanto, continua il suo gioco innocente.