Il pullman sul quale viaggio (Arcavacata/Unical-Locri) è stracolmo di studenti sudati e stanchi. Quando si avvicina a Rogliano (un tratto d’autostrada da affrontare con prudenza) m’irrigidisco e cerco di allontanare la tensione pensando ad altro. L’asfalto infuocato rilascia strani messaggi di luce. Manca l’aria, nonostante il buon sistema di areazione. Accanto a me è seduta una giovane studentessa universitaria. Appare triste, con gli occhi persi nel vuoto. Le dico che il caldo è soffocante, che il mezzo è troppo affollato; la ragazza, però, non mi risponde. Sono stanco, chiudo gli occhi alla ricerca di un po’ di sonno ristoratore, ma di lì a poco un giovane studente mi si avvicina dicendomi di conoscere i miei figli, che con uno di essi hanno frequentato lo stesso corso d’inglese ai tempi del liceo. E’ gentile. Mi saluta con garbo e torna al suo posto. La ragazza seduta al mio fianco, invece, scoppia in un pianto intenso e silenzioso; calde lacrime solcano il suo giovane viso. E’ nella mia natura cercare di capire cosa accade al prossimo. “Posso fare qualcosa per te”, le dico a bassa voce, per non farmi sentire dai presenti.
“Ho paura di ritornare a casa a mani
vuote”, mi risponde dopo aver inspirato a lungo.
Segue un fitto dialogo dal quale viene fuori che, per la terza volta consecutiva, non ha superato un esame importante. “Il prof. - mi dice - incute terrore, proprio ieri ha rimandato a casa la quasi totalità degli esaminandi. Lo fa sistematicamente. Tale comportamento non ci fa studiare tranquilli. L’Università è divenuta una vera ossessione, quasi un luogo di tortura psicologica”. Probabilmente opterà per una sede universitaria del Nord (forse Bologna); altri suoi colleghi di corso stanno maturando la stessa intenzione. La ragazza - lo deduco da quanto mi dice- ha alle spalle un brillante curriculum scolastico (maturità classica con 94/100), studia con passione e diligenza, non trascura mai le lezioni, in alcuni casi le registra. Mostra un’ottima proprietà di linguaggio. Cerco di calmarla, le chiedo di non demordere, di non lasciare la nostra bella terra, che sono troppi i giovani costretti ad abbandonarla. Si asciuga a più riprese le lacrime, mi risponde che ha bisogno di riflettere, che deciderà assieme ai suoi genitori. Scende nei pressi di Locri. Mi saluta abbozzando un sorriso di gratitudine. Le auguro ogni bene. Il pullman riparte, ora è quasi vuoto. Rientro a casa turbato, quanto raccontatomi - ripeto a me stesso- non depone a favore del docente “ammazzatutti”. Difatti, quando si boccia troppo (quasi in modo compulsivo), non necessariamente si è misurati nel giudizio. In alcuni casi, infatti, il motivo per cui gli allievi non ottengono buoni risultati può dipendere dalla rigidità didattica del docente. Senza empatia non si va da nessuna parte, infatti. Spero tanto che la ragazza non lasci l’Unical. Sarebbe una sconfitta per tutti.