Elisabetta Pulitanò (Caraffa del Bianco (RC), 20 ottobre
1925) è una contadina piena di amore per
la vita e conserva lunga memoria sugli
avvenimenti di cui è stata protagonista. E’ una vera miniera di canti
religiosi, di poesie in vernacolo, racconti popolari.
martedì 11 dicembre 2012
sabato 8 dicembre 2012
Polvere di Farina nel caso Sallusti.
(Pubblicato su “Il Quotidiano della
calabria”, giovedi 6 dicembre 2012, pag.21).
Trasformare Sallusti in un eroe è una cosa sgradevole che, purtroppo, rispecchia per intero la
scarsa credibilità umano-culturale della nostra martoriata penisola.
lunedì 29 ottobre 2012
LA FORTUNA DI CHI CREDE IN UN DIO "DISTRATTO"
S.Agata, 27 dicembre 1998, ore 7,50.
La fortuna di chi crede in un Dio è grande. Se è vero che le deleghe creano il potere, poca colpa è delegare la propria anima (trattasi dell’uomo che non sa perché esiste a questo mondo e a questo modo) a colui che è, alla potenza di chi non ha bisogno del tempo e dello spazio e che incarna totalmente il tutto.
Ma forse perché distratto, forse perché assonnato, da secoli Dio lascia gli uomini nel freddo, non interviene quando la lotta fratricida ammette la lama del machete ed i missili sibilano dentro i cuori di popoli inermi.
Dio s’è distratto, dunque, e l’uomo ne approfitta.
Oppure, come spesso la ragione detta agli uomini, non esiste, è un’invenzione per non sentirsi solo nel vuoto dell’eterno Universo.
Ma se Dio esiste, pure se distratto, quando aprirà gli occhi sul mondo griderà più di Munch per l’orrore commesso in sua assenza.
Sarà un Dio solo (privo dello specchio umano che, pur se deforme e spesso privo di colori e luce) che a caro prezzo avrà pagato l’attimo in cui degli uomini poco s’è curato.
Non lo specchio umano, ma una palude limacciosa e fetida, un inferno solitario e maligno, incapace di specchiare le fattezze di Dio, del suo mondo senza fine.
La fortuna di chi crede in un Dio è grande. Se è vero che le deleghe creano il potere, poca colpa è delegare la propria anima (trattasi dell’uomo che non sa perché esiste a questo mondo e a questo modo) a colui che è, alla potenza di chi non ha bisogno del tempo e dello spazio e che incarna totalmente il tutto.
Ma forse perché distratto, forse perché assonnato, da secoli Dio lascia gli uomini nel freddo, non interviene quando la lotta fratricida ammette la lama del machete ed i missili sibilano dentro i cuori di popoli inermi.
Dio s’è distratto, dunque, e l’uomo ne approfitta.
Oppure, come spesso la ragione detta agli uomini, non esiste, è un’invenzione per non sentirsi solo nel vuoto dell’eterno Universo.
Ma se Dio esiste, pure se distratto, quando aprirà gli occhi sul mondo griderà più di Munch per l’orrore commesso in sua assenza.
Sarà un Dio solo (privo dello specchio umano che, pur se deforme e spesso privo di colori e luce) che a caro prezzo avrà pagato l’attimo in cui degli uomini poco s’è curato.
Non lo specchio umano, ma una palude limacciosa e fetida, un inferno solitario e maligno, incapace di specchiare le fattezze di Dio, del suo mondo senza fine.
sabato 27 ottobre 2012
UN FITTO ORIZZONTE SEGNATO DI SCURO
S.Agata del Bianco, 4 aprile 1994
L’altro ieri ho incontrato una ragazza da tempo emigrata al Nord. Si trovava in paese per il funerale di un suo parente.
L’altro ieri ho incontrato una ragazza da tempo emigrata al Nord. Si trovava in paese per il funerale di un suo parente.
mercoledì 24 ottobre 2012
L'UOMO COME PROIEZIONE D'INFINITO NELLO SPAZIO
Credo sia profondamente vitale bandire l’idea che vuole la condizione dell’esistenza come definita (statica), altrimenti porremmo l’uomo nell’incapacità di progettare il domani, sull’orlo del baratro, senza alcuna possibilità di sviluppare un rapporto armonico col mondo. Un’esistenza, questa, simile ai giorni di scarsa luce, quando si è incapaci di catturare un barlume di scolarità. L’uomo non può accettare che siano gli eventi a governarlo, a renderlo marionetta. Lo so, può sembrare una rivolta azzardata. Si tratta di non rassegnarsi, di non cedere alla tentazione che comunque si è in balia degli accadimenti.
Se anche gli animali si ribellano all’attacco dei giorni poco provvidi, senza però possedere strumenti idonei per mutare la loro condizione di inferiorità, perché l’uomo, pur nella consapevolezza che la fine è sempre in agguato, non può adoperarsi come se il tempo fosse eterno, quasi una proiezione d’infinito nello spazio?
lunedì 22 ottobre 2012
UN FOGLIO DAL LIEVE FRUSCIO
S.Agata del Bianco (Appunto del 14 marzo 1994).
Ieri osservavo mio figlio Federico (cinque mesi e mezzo) stringere tra le manine un foglio di quaderno che, dietro l’incalzare della piccola presa, produceva un lieve fruscio. Lo so, può sembrare assurdo soffermarsi su una scena di questo tipo. Ma il mio pensiero è andato subito ad occuparsi del significato delle cose. Certo, mio figlio, data l'età, non ha potuto razionalizzare il suo rapporto col foglio bianco, la sua curiosità era dettata più da un dato istintivo. Tuttavia, pure gli adulti cedono all’istinto e in nome del possesso delle cose commettono follie, dichiarano guerre fratricide, calpestano popoli inermi. Oggi, nel pieno fulgòre della civiltà dei consumi, siamo circondati, meglio invasi, da una quantità di oggetti in buona parte inutili. Nella civiltà contadina, invece, il valore degli oggetti era assoluto, doveva avere in sé il senso dell’utilità, ed era custodito come qualcosa di importante, per non dire vitale. Un recipiente di terracotta era vitale per dissetarsi, una giara doveva custodire l’olio per più annate. Viene in mente il romanzo “ L’uomo è forte ", di Corrado Alvaro, scrittore europeo nato alle falde dell’Aspromonte (S.Luca). Egli vi narra la coercizione dei sistemi totalitari. I personaggi sono immersi in un’atmosfera più che kafkiana, in un mondo dominato dal sospetto, dove tutto diviene colpa, anche l’amore. Il regalo di un’arancia grossa e succosa rappresenta l’elemento più “ umano”, ricorda la solarità e la limpidezza del mare, il calore culturale di un popolo contrapposto al grigiore cupo del Potere. Gli oggetti, dunque, non sono senza voce (senza volto), possiedono dei valori fortemente simbolici. Oggi, purtroppo, le cose sono adoperate come mezzo di rappresentazione (status symbol), come strumento per affermare in modo “ forte” la propria presenza. Federico, intanto, continua il suo gioco innocente.
mercoledì 17 ottobre 2012
VERBO POPOLARE DA PRESERVARE
E’ da parecchio tempo che penso sia giusto ed utile organizzare un gruppo di lavoro col compito di registrare le voci, la parlata, il dialetto, insomma, delle diverse generazioni dei nostri piccoli paesi.
La memoria di un popolo è una ricchezza inestimabile da conservare “religiosamente”.
Gli anziani- ad esempio- sono un “archivio umano” unico e singolare, sono i custodi della civiltà contadina, ricca di valori millenari, in grado di posizionare l’uomo al centro della vita, lontano dall’odierna emarginazione e indifferenza.
A Roma, esiste un centro studi fonetici, mi pare questo il suo nome, dove sono custodite circa 250.000 voci.
A prima vista potrebbe sembrare un laboratorio per specialisti della materia (filologi, glottologi etc), invece, a parte gli studi suoi suoni, sul ritmo della parlata, l’archivio evidenzia che v’è il rischio reale di perdere per sempre le nostre radici linguistiche, i nostri idiomi e quindi la nostra cultura.
Nei nostri piccoli paesi si è forse ancora in tempo a promuovere iniziative tese al recupero della nostra memoria linguistica.
martedì 16 ottobre 2012
ELIETTA (SULLA STRADA DELLA VITA)
Elietta
Elietta si era svegliata all’improvviso, aveva fatto un brutto sogno. Andò in bagno e si sciacquò il viso. Si guardò allo specchio, era tesa in volto, qualcosa l’aveva angustiata nel sonno. Ricordava un granchio gigantesco che la inseguiva sulla spiaggia del suo paese riverso da secoli su una marina ricca di scogli e piccole baie.
Elietta si era svegliata all’improvviso, aveva fatto un brutto sogno. Andò in bagno e si sciacquò il viso. Si guardò allo specchio, era tesa in volto, qualcosa l’aveva angustiata nel sonno. Ricordava un granchio gigantesco che la inseguiva sulla spiaggia del suo paese riverso da secoli su una marina ricca di scogli e piccole baie.
DOMENICO MISITANO, I MAESTRI DEL CUORE.
S.Agata del Bianco, 25
gennaio 2014
di Vincenzo Stranieri
Il
maestro elementare Domenico Misitano (Samo di Calabria (Caraffa del Bianco), 2
dicembre 1933), ha di recente ripubblicato il suo poema giovanile “I maestri del cuore”, Franco Pancallo
Editore, Locri, 2014, composto da 28
canti, l’ultimo a mo’ di congedo dal mondo della scuola dove ha trascorso
un’intera vita assieme a ragazzi desiderosi di conoscenza e affetto, sempre in
pieno dialogo con i colleghi: stimati e voluti bene come fratelli.
IL VINO ROSSO DEL MIO AMICO
L’amico col quale sto parlando è rimasto impigliato nel velo di un vino robusto. No, egli ragiona, ma è pure accarezzato da una leggerezza lieve, quasi un soffio di vento, che lo spinge verso gradevoli metafore.
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